Studio Scarmagnani
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HA COMINCIATO PRIMA LUI!

22/2/2011

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PER LITIGARE BISOGNA PER FORZA ESSERE IN DUE, PER COSTRUIRE LA PACE BASTA UNO. SUCCEDE TRA I PICCOLI MA ANCHE TRA I GRANDI. È COLPA SUA O SONO ANCH’IO CHE NUTRO LA GUERRA?
A quale genitore non è mai capitato di entrare in una stanza dove due fratellini si stanno azzuffando. Aprite la porta, vi chinate per dividerli con le buone maniere e già cominciano a sovrastarsi verbalmente e ad assordarvi: «Ha cominciato lui!». «No! Non è vero, è stato prima lui». Ma voi siete saggi e avete letto tanti libri di pedagogia: «Bene, dai, civilmente cerchiamo di capirci. Che cosa è successo “veramente”?» E comincia il balletto: «Lui mi ha dato un pugno!» «È perché lui mi ha tirato i capelli!» «Ti ho tirato i capelli perché mi hai detto che sono scemo». «Certo che sei scemo, mi facevi le linguacce!» e voi che sulle prime siete fedeli ai vostri principi pedagogici «Questo non si fa, quello non si dice, da bravi fratelli, vogliatevi bene!». Ma non c’è verso e alla fine non resta che dividerli: «Bene, visto che non sapete stare insieme, ognuno in camera sua!».

Impossibile fermare questo tipo di girotondo. A che serve trovare il punto di inizio quando il processo circolare è già attivato?

Succede la stessa cosa anche ai coniugi quando si attribuiscono le colpe: «Per forza sono nervosa, non mi stai mai vicino!». «Ci credo che non ti sto vicino, sei sempre nervosa!».

Un conflitto tra adulti, così come una più ingenua azzuffata tra piccoli, non vanno avanti se entrambi non mettono del carburante.

Vista in quest’ottica allora è più opportuno capire che cosa ognuno sta facendo per tenere in piedi il conflitto e cosa potrebbe fare per sgonfiarlo. Per litigare infatti bisogna essere necessariamente in due, ma per la pace basta che uno interrompa il circuito perché anche le azioni dell’altro diventino inef- ficaci.

Assomiglia quello che a livello internazionale i teorici della pace chiamano “disarmo unilaterale”.

Con le dovute misure per salvaguardare la loro integri- tà, educhiamo i nostri figli, fin da piccoli, ad amare il con- fronto ma a non lasciarsi irretire nelle spirali di annienta- mento dell’altro. Ne faremo dei piccoli costruttori di pace.

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IL FILM: BEE MOVIE

22/2/2011

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Integrati o alternativi.
Bee Movie (Hickner e Smith, 2007) è un film d’animazione in computer grafica candidato al Golden Globe come miglior film d’animazione. Si può naturalmente vedere con tutta la famiglia ed è una splendida metafora della tensione dinamica e feconda tra i propri sogni e le esigenze familiari e sociali. 
Racconta di un’ape di nome Barry Bee Benson amareggiato quando vede che ha una sola possibilità di carriera: produrre miele. Alla ricerca di nuove prospettive si avventura fuori dall’alveare ed infrange una delle regole fondamentali: parla con un’umana, la fioraia Vanessa Bloom. Barry rimane sconvolto nell’apprendere che gli umani mangiano da secoli il miele delle api, e decide di intentare una causa contro la razza umana per il furto del miele. Barry e Vanessa però presto scoprono che, una volta tornato il miele di tutto il mondo alle api, queste non hanno più un lavoro, e che senza l’impollinazione i fiori e tutta la vita vegetale è destinata a morire così come tutta la vita sulla Terra vista la mancata produzione di ossigeno.

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PAURA DEL FUTURO

22/2/2011

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SCEGLIERE È LIBERTÀ, MA SCEGLIERE NELL’INDECISIONE È ANGOSCIA. COME FARE CON UN GIOVANE CHE SI DISPERDE RISPETTO AL SUO PROGETTO DI VITA?

"Ma porc... gli mancano 5 esami e adesso vuole mollare tutto. Gli abbiamo dato un anno nel quale non ha fatto un tubo. Pensavamo un periodo di crisi, ma adessso, dopo che l’abbiamo mantenuto per una vita a studiare, vuole cercarsi un lavoro. Di questi tempi poi, chi vuole che lo prenda. Magari a fare il muratore».

«... E che ci sarebbe di male?» provoco un po’.

«Beh, guardi, non sarebbe nemmeno quello il problema, se poi lui fosse felice. Ma un giorno vuole fare l’in- gegnere, adesso voleva fare l’avvocato, ma poi si chiede se non è meglio fare teatro ed “esprimere il suo talento”, non so quanta confusione c’ha in testa quello lì».

Quanti giovani universitari, speranza di mamma e papà, fanno a gara per deludere le aspettative e proiettarsi in un buco di depressione, oppure saltare di entusiasmo in entusiasmo, con una rapidità che si trasforma in effimero, perché il cambiamento è troppo rapido per lasciare traccia. E allora ansia e panico... il timore di disperdersi.

Figli dell’occidente. Figli della cultura dove fagocitiamo tutto e non siamo sazi: cibo, oggetti, progetti.

Hanno ragione gli antropologi, quando ci spiegano che in una società primitiva, senza alcuna possibilità di scelta, la percezione è di avere tutto, di non mancare di nulla.

Oggi noi abbiamo molte più cose, ma allo stesso tempo sono infinite quelle che non abbiamo. Quindi, al confronto, non abbiamo nulla. Per quante cose possediamo, sentiamo che di più ce ne mancano. Per quanti titoli abbiamo, sentiamo che non sono mai abbastanza per rassicurarci.E allora scegliere, da attività liberatoria, diventa angosciante. Perché scegliere, decidere, ed esprimere se stessi nella libertà, scivola velocemente nella scelta che diventa perdita, perdersi.

Le crisi spesso arrivano a pochi passi da un traguardo. Perché mentre si vede la meta sale nello stomaco una domanda: «... e poi?».

I genitori si trovano disarmati o perché non l’hanno dovuta affrontare, e quindi non capiscono questo figlio che “ha tutto ma non è contento di nulla”; oppure perché, in fondo, l’hanno dovuta affrontare ma non l’hanno digerita.

E così questo turbamento di stomaco riattiva quello di un genitore, o di entrambi, che vogliono far tacere l’inde- cisione del figlio per far tacere la loro.

Attraversare insieme la palude nebbiosa.

Questo è il viaggio da fare, facendo certo attenzione alle insidie che stanno sotto i piedi, ma soprattutto alzando spesso lo sguardo per tenere fissa la direzione.

Che ne dite di una semplice discussione tipo: «Quali sono le cose per cui viviamo? Quali sono i nostri valori?»

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GITA SI, GITA NO

22/2/2011

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A nostra figlia Lia, di 13 anni, è stato proposto dalla scuola di fare un gemellaggio a Berlino con altri 11 compagni. Non conosciamo le famiglie. Ho manifestato la mia preoccupazione e sono stata criticata sia da mio marito Andrea che da Lia, che ha trovato in mio marito un valido alleato per quest'esperienza che la esalta. Ma che fa Andrea? Le dà i soldi e le firma l’autorizzazione.

È scattata in me una grande rabbia. Mi sono sentita svalutata e ho recepito in mia figlia un messaggio del tipo «mio papà è un grande e tu mamma non vali nulla».

Ora la decisione è stata presa. A Lia ho detto che sono contraria perché le voglio bene e che alle volte dire di no costa molto di più che un semplice sì.

Katia - via mail



Non ti sei sentita presa in considerazione per le tue preoccupazioni; poi, una potente alleanza padre-figlia ti ha messo in scacco e tu ti sei trovata fuori gioco. Ci credo Katia che sia scattata in te una grande rabbia!

Che sta succedendo? Sì, perché qui non si tratta di capire se mandare o meno Lia in Germania, ma di capire come sono strutturate le relazioni in casa tua e come vengono prese le decisioni. Visto che non vi conosco, la prima domanda che ti farei è: «Ma come hai potuto permetterlo?» e immagino che sarà anche la domanda che ti fa più arrabbiare. 

In un rapporto a due infatti sappiamo che uno prende spazio dove l’altro lo cede. Può allora essere che in questo momento la relazione con tua figlia tredicenne non sia molto facile, e che tu abbia delegato un po’ a tuo marito.

Solo che poi lui si lascia prendere un po’ la mano, e prende un’iniziativa unilaterale. «Papà è un grande e tu mamma non vali nulla», ed ecco qui ti dai da sola una risposta, condividendo con molta trasparenza questo sentimento di inadeguatezza che viene da lontano.
Katia, penso che tu debba al più presto chiarire con tuo marito i confini del vostro rapporto, e del vostro essere genitori, e le modalità con le quali prendere le decisioni.
Le alleanze "in verticale" tra un genitore e il figlio, sono pericolose perché danno un apparente senso di onnipotenza al quale seguirà una forte insicurezza.

La forza per farlo tu ce l’hai sicuramente, considerata la lucidità con la quale non hai mollato ma sei tornata alla carica da tua figlia per spiegarle l’amore insito nella tua preoccupazione di mamma.

E penso anche che la relazione con tuo marito abbia delle grandi potenzialità, in quanto nella modalità piuttosto infelice con la quale avete condotto questa faccenda, c’è comunque un certo ordine: una madre giustamente preoccupata per la giovane figlia e un padre giustamente entusiasta per l’avventura. Siete i due lati della stessa medaglia.

Fate in modo che le vostre differenze, che adesso vi fanno soffrire, diventino uno scambio fecondo di conoscenza reciproca.
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IL FILM: GLI INCREDIBILI

22/2/2011

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Gli incredibili – Una normale famiglia di supereroi (Bird, 2004)
 
è un divertentissimo cartone della Pixar, ideale per una visione in famiglia con bambini di tutte le età. Ma il divertimento è assicurato anche per gli adulti.
 
C’è Mr Incredible e sua moglie Elasticgirl, splendida metafora della forza maschile e dell’elasticità femminile rispetto alle situazioni familiari. C’è Violetta, adolescente schiva e scontrosa con la mamma, c’è Flash tipico ragazzino iperattivo che provoca la sorella, Jack- Jack l’infante sbrodolone. Tutti dotati di superpoteri che devono nascondere, e tutti alle prese con una sorta di crisi di identità, e con i problemi relazionali delle famiglie “normali”. Il rapporto di coppia da rilanciare ed il rapporto genitori-figli con contrasti educativi annessi.

Meraviglioso il bisticcio tra i coniugi – intorno al minuto 24 – sulle divergenze educative rispetto al figlio Flash, con le visioni opposte di mamma e papà. E meraviglioso anche come spiegano ai figli del loro contrasto. Veramente molto educativo.

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MIO FIGLIO MI TRATTA MALE

18/2/2011

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MASCHIETTI CHE TRATTANO MALE LE MAMME. 
STRONCARLI? PUNIRLI? O EDUCARLI? VEDIAMO.


"Caro Marco, sono la mamma di un bambino di 6 anni che mi dice un sacco di parolacce – ci scrive preoccupata Luciana. A scuola, con gli altri, è sempre buo- no, rispettoso, disponibile, ma con me dice cose pesanti. Sono preoccupata che anche la sua sorellina di un anno impari a comportarsi così. Con l’altra –
che ne ha 11 – non ho mai avuto questo problema.» 

Beh, cara Luciana, di motivi per essere un po’ arrabbiato direi che ne ha un bel po’. Proviamo a fare delle ipotesi in modo da poterti aiutare, ma anche di aiutare lui perché – non dimentichiamolo – un bambino che tratta male la mamma si sentirà poi terribilmente in colpa. Il senso di colpa lo renderà ancora più arrabbiato, e si attiverà un circuito rabbia-senso di colpa per nulla piacevole.

«Sono stato per ben 5 anni il “piccolo” di casa – potrebbe essere la sua versione dei fatti – , e questo posto non me lo toglieva nessuno. È vero, la sorella grande un po’ mammina e saputella come tutte le sorelle maggiori, ma io ero un maschietto e quindi il preferito di mamma. Poi mi arriva un’altra femmina e mi crolla il mondo addosso.»

È evidente, la prima resterà sempre la prima, la più grande, magari la più responsabile, la nuova nata con il suo bisogno di cura calamiterà l’attenzione della mamma, e lui che posto ha? «Non sono il più grande, non sono più il piccolino, non posso essere utile come mia sorella, che faccio adesso?». Naturale! Se la prende con la mamma!

E ciò potrebbe essere rinforzato da un altro fattore: «E il mio essere maschietto? Dove lo mettiamo? Ok, non sono come le mie sorelle, non sono nemmeno come la mamma». 

Ed ecco allora che deve trovare un modo, magari non proprio carino, per differenziarsi, per distaccarsi, per creare una frattura, per esaltare il proprio “io”, il proprio essere differente.
Che fare allora? Primo non spaventarti perché non serve a nulla. Avere di fronte una mamma che riesce a tenere di fronte a queste bordate gli farà sicuramente bene, perché gli toglierà quel senso di onnipotenza e lo rassicurerà.

Poi, visto che rischia di crearsi un’identità negativa per opposizione, il papà ha un ruolo importante nel proporgli un modo maschile, sano, amorevole di comportarsi con te. E quando lo richiama, invece di dirgli «Non si tratta così la mamma», provi a dirgli, «Porta rispetto a mia moglie!». Senti che differenza? Da una imperativo generico negativo ad una prescrizione personale positiva. Dal trattarlo da piccolo cucciolo a considerarlo un ometto responsabile. Dal considerarlo figlio della mamma a considerarlo figlio di una coppia.

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MAI CONTENTO!

18/2/2011

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«VOGLIO DI PIÙ! ... E NON MI BASTA MAI!» CANTAVA IL PRIMO JOVANOTTI. UN PROBLEMA DI INSODDISFAZIONE DI GRANDI E PICCINI. COME POSSIAMO RIEMPIRE IL VUOTO?


"Ciao, ho appena letto la tua risposta “Paura del futuro”, ho avuto una illuminazione. Mio figlio di 6 anni, è così: "Fagocita tutto e non è mai sazio". È il nostro primogeni- to, poi abbiamo altri due figli. Quando è nato con noi c'erano già altre persone che avevamo accolto. Da un po' di tempo è molto arrabbiato, come quando ero incinta del terzo figlio, e un giorno, ha detto che io non ho mai tempo per lui. In coscienza non credo sia vero. Ha iniziato piangendo perché non voleva andare a scuola, un giorno abbiamo dovuto vestirlo di forza. In realtà quando frequenta la scuola, catechismo, nuoto, è contento, ma quando è ora di andare, una tragedia. Ma soprattutto non è mai sazio. Due Natali fa, dopo aver scartato 6 regali, si è messo a piangere perché non aveva più pacchetti da scartare, dall'anno dopo ho proibito a tutti di fargli regali in modo tale che a Natale arrivasse un solo regalo, entrambi gli anni i bimbi sono stati contenti di quel momento. In realtà i miei figli ricevono un sacco di regalini e schifezze varie in continuazione e questo per me è frustrante: loro sono pieni di cose, non le apprezzano e io faccio la parte della cattiva. A tavola hanno sempre da ridire... mi spiace di non riuscire a trasmettere ai miei figli i valori in cui credo e soprattutto vedere il grande infelice».

Ho lasciato quasi al completo la tua lunga mail perché ci fa entrare bene nel pathos, nello svolgersi anche emotivo della tua preoccupazione. Rilevare un disagio, interrogarsi, cercare delle strategie di soluzione, rivederle e chiedersi l’atteggiamento più adatto, andando sempre più a fondo. Poco importa che la carenza di attenzioni che ti rimprovera tuo figlio sia reale. L’importante è non lasciarlo solo e travolto dal sentimento. Legittimare un sentimento non significa approvarlo. Accogliete questo suo bisogno di avere di più (in cose o in affetto, che poi, come hai capito bene, sono collegate), stategli vicino e fategli capire che sentite quanto soffre. E allo stesso tempo offritegli il vostro supporto e la vostra esperienza per tollerare questa frustrazione.

Accoglienza e confine, l’abbiamo detto più volte. Solitamente queste due funzioni si spartiscono rispettivamente tra mamma e papà. Voi trovate l’assetto più congeniale alle vostre personalità. È un tema che ritornerà per tutta la vita, e che molti adulti – quelli ch non sono mai sazi di cibo, di lavoro, di soldi – ancora non hanno risolto.

In realtà è un bisogno esistenziale, una ricerca di senso, di infinito, che né le persone (limitate), né le cose (effimere) possono colmare.
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SCAMBI VIRTUOSI

1/2/2011

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LA FAMIGLIA – SI LEGGE NEI MANUALI – DEVE ESSERE DOTATA DI UNA BARRIERA SEMI-PERMEABILE. SE CI SONO TROPPI SCAMBI CON L’ESTERNO SI DISPERDE, SE NON CE NE SONO, AVVIZZISCE. DA EVITARE COMUNQUE LO SCAMBIO DI PARTNER



È sera, la cena sarà già sicuramente pronta, e mi trovo ancora ad un’ora di strada da casa. Chiamo il mio collega per aggiornarlo sul lavoro fatto e per concordare le prospettive della giornata seguente. Parliamo un po’ e poi mi dice: «Guarda che c’è anche il tuo Elia a cena con noi, e i nostri ragazzi hanno già deciso che dormirà qui questa notte». Non è la prima volta: anche se frequentano la se- conda media in due scuole diverse, hanno fatto assieme un tratto di elementari. Ma c’è un’altra novità: «Ah – mi dice ironico – invece il nostro Giovanni passerà la notte a casa tua. Abbiamo fatto uno scambio!».

Telefono a casa e mia moglie – tra un frastuono irritante per chi cercava solo una voce soave per lenire le fatiche del giorno – mi risponde piuttosto ilare che i piccoli stanno allestendo la camera per il nuovo ospite e si stanno azzuffando per contendersi i posti-letto.

Una baraonda giocosa. Sì, perché fortuna vuole che Giovanni leghi bene sia con il mio Alberto (che ha un anno di meno) che con la mia Giulia (che ha un anno in più). Si vedono tutti i giorni alla scuola elementare: Alberto in prima, Giovanni in seconda, Giulia in terza. Una scala perfetta. E così si creano varie combinazioni: possono giocare tutti e tre insieme, possono i due maschietti dedicarsi a giochi più “dinamici” mentre la principessa sta con la mamma, o possono stare insieme i due più grandi – Giovanni e Giulia – accomunati da un’indole piuttosto riflessiva.

Dinamiche che sono molto più difficili da realizzare quando gira per casa un tredicenne in piena attività pre- adolescenziale.

Quello invece se ne sta fortunatamente con l’amico Emanuele. Giocano al computer, ascoltano musica, fanno un giro in bici. Roba da grandi. 

Alcune specie di primati si scambiano i cuccioli per rinforzare la fiducia nel gruppo e per saldare i legami. Nelle società primitive i figli sono cresciuti da tutta la comunità. È possibile anche nella nostra evoluta società occidentale allentare le barriere della famiglia nucleare? Pare di sì, e i vantaggi sono molti. Quante volte si sentono genitori dire: «Mio figlio? A casa è un mascalzone, e mi preoccupo della figura che può fare, ma quando va a casa d’altri mi dicono che è educato, posato, interviene in maniera intelligente...». 

E così, mentre il mondo propone lo scambio di coppie per rendere la vita più frizzante, noi cattolici possiamo proporre lo scambio dei figli. Per rendere la loro vita più dinamica, sicura e perché assaporino un’indipendenza “controllata”.
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HA PAURA DI TUTTI

1/2/2011

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CON GLI ALTRI BAMBINI SEMBRA UN PULCINO, ED È SEMPRE MOLTO INSICURA. CHE FARE CON UNA BAMBINA CHE HA UNA SPECIE DI ANSIA SOCIALE? COMINCIAMO COL TRASMETTERLE LA GIOIA DI VIVERE



La mia bambina di 6 anni e mezzo – scrive nella sua lunga e preoccupata lettera Eliana – frequenta la prima elementare e la maestra mi dice che quando in classe fanno delle attività si blocca e, se incoraggiata a fare il compito, si mette a piangere. Con me poi: ogni volta che dobbiamo andare a qualche festa di compleanno sono tragedie, e al parco giochi o se ne sta in disparte a guardare o subisce passivamente le iniziative degli altri: un pulcino. Mi tocca invitare le sue amichette ad una ad una, ma proprio in gruppo si sente a disagio. Ah, anche con i nonni si trova bene, ma io non sono d’accordo che la trattino come una di 3 anni. Che dire, io sono esausta anche perché ho un altro piccolo di appena un anno, mio marito minimizza, e troppo spesso – lo confesso – perdo le staffe. Vorrei capire che fare».

E ti chiedi perché questa figlia fa così invece di godersi la sua giovane età, e perché hai un altro peso, già ne avevi abbastanza!

Io partirei da qui, dallo sguardo su una mamma stanca che ha poche occasioni per trasmettere la gioia di vivere alla sua bambina. Il senso di colpa è in agguato. «Non le sto dedicando il tempo e le energie necessarie. Il piccolo mi prosciuga. Mio marito si è defilato con la scusa del lavoro. I nonni la viziano». E, si sa, il senso di colpa è pa- rente stretto della rabbia. Ecco allora che si esplode...

Quando si entra alla scuola elementare poi i bambini si
affacciano in un nuovo mondo: si fa sempre più chiara la consapevolezza del proprio esserci e vengono richieste delle performance. Immagino che per te sia dura rapportarti a lei. Magari ti senti sperduta con tua figlia.

Prima di pensare a lei, cara Eliana, pensa un po’ a metterti in una condizione di maggior benessere. Pensa a ritagliarti un po’ di tempo e di energie per dedicarti a te e a ciò che più ti piace. Fai un po’ di sport, esci con tuo marito, coltiva qualche bella relazione con le tue amiche e, se ti senti un po’ arida anche spiritualmente, prenditi un po’ di tempo per pregare.

Come fare? Tuo marito va sicuramente coinvolto, spie- gandogli proprio che forse lui avrebbe anche qualche marcia in più per infondere sicurezza a sua figlia. Poi fai riferimento ai nonni: già che sono così bravi con i piccoli, dai loro anche il secondogenito qualche volta.

Vedrai che con un po’ più di carica riuscirai a vedere tua figlia con meno pena e – soprattutto – tua figlia vedrà una mamma forte che potrà essere un modello: «Che bello mamma: anch’io, un giorno, sarò come te».

Genitori ansiosi, figli pure

«Negli ultimi anni il numero di bambini e ragazzini che manifesta specifici disturbi d’ansia ha raggiunto un livello da allarme sociale. Pare che il 21% dei ragazzi di 8, 12 e 17 anni presenti una sintomatologia e disturbi tali da giustificare una diagnosi di ansia». Inizia così una recente “guida per genitori di bimbi ansiosi”. E poi elenca i campanelli d’allarme: se a 1 anno il bambino ha disturbi dell’alimenta- zioneodelsonno,sea 2 o 3 anni il bambino ha difficoltà a separarsi dai genitori e a affrontare l’ingresso nella scuola materna, eccetera.

Figli ansiosi, genitori ansiosi, figli ancora più ansiosi... via co
sì.
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FIGLI ETERNI

1/2/2011

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FINO A CHE ETÀ SI RIMANE “FIGLI”? FINO ALL’INDIPENDENZA ECONOMICA? O FINO ALL’USCITA DI CASA? O FORSE FINO ALLA MORTE DEI GENITORI E OLTRE? MA ESSERE FIGLI NON VUOL DIRE “FARE I RAGAZZI”


"Pronto dottore – all’altro capo del telefono una voce femminile elegante e pacata – vorrei prendere un appunta- mento con lei perché ho problemi con i miei figli».

«Va bene signora, viene da sola o con suo marito?», intan- to raccolgo le prime informazioni. Attimo di silenzio: «Mio marito? Ah, no no, vengo solo io... le dirò».

Tutto potevo aspettarmi meno che la donna che mi si presentava davanti avesse la bellezza di 68 (!) anni. Alla faccia dei figli! 40 anni il più giovane e 44 la figlia mag- giore. Entrambi in casa, entrambi con lavori precari, en- trambi con delusioni amorose alle spalle.

Altra scena: mamma 60enne viene ansiosa per quel figlio 35enne che – una volta licenziato – si è «buttato giù e adesso non va nemmeno più a cercar lavoro. Passa le giornate a letto o davanti al televisore, poi sta un paio d’ore in bagno a lavarsi, curarsi e vestirsi bene, ed esce. Tutte le notti rientra alle 3, alle 4... quando va bene».

Figli del ricco Veneto. Figli che negli anni 80 e 90 guida-vano orgogliosi neopatentati il fuoristrada di papà. Figli di genitori che hanno sgobbato una vita per mettere a regime un’impresa familiare che ha dato una sicurezza economica insperata. Il miracolo del nordest!

A scuola molti non avevano nemmeno bisogno di im- pegnarsi perché – tanto – qui il lavoro non è mai manca- to, il posto assicurato nell’azienda o nello studio di papà, e se rompe si trova comunque un lavoretto ben pagato e con buone prospettive di carriera.
Ma i tempi cambiano e gli ultimi anni sono piuttosto sfavorevoli. L’attività di papà si è spenta con lui; quando ha raggiunto la pensione, nessuno ne ha raccolto l’eredità, e anche le imprese degli amici non cercano personale. Restano le belle ville semideserte, i genitori anziani, e quel gruzzoletto che permette di dire che – sì, va male – ma non così male da essere alla carità.

I genitori non hanno più forza, i figli non l’hanno mai allenata. E così si ferma la ruota, quel ricambio generazio- nale che da millenni fa della famiglia un’organismo vitale che si rigenera continuamente.

«Eh, dottore. Sa, è triste morire senza nipotini...» o «Vorrei almeno avere la soddisfazione di vedere i miei figli sistemati». È comune sentire una nebbia di tristissima immobilità che avvolge alcune famiglie al declino. Genitori con gli anni che avanzano e figli ormai canuti che si atteggiano da eterni 18enni.

Cambiare stile a 40 anni è molto più difficile che a 18.
Chi li salverà? E se fosse proprio questa crisi economica a dare in modo drammatico lo scossone di cui c’è bisogno?
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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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