A quale genitore non è mai capitato di entrare in una stanza dove due fratellini si stanno azzuffando. Aprite la porta, vi chinate per dividerli con le buone maniere e già cominciano a sovrastarsi verbalmente e ad assordarvi: «Ha cominciato lui!». «No! Non è vero, è stato prima lui». Ma voi siete saggi e avete letto tanti libri di pedagogia: «Bene, dai, civilmente cerchiamo di capirci. Che cosa è successo “veramente”?» E comincia il balletto: «Lui mi ha dato un pugno!» «È perché lui mi ha tirato i capelli!» «Ti ho tirato i capelli perché mi hai detto che sono scemo». «Certo che sei scemo, mi facevi le linguacce!» e voi che sulle prime siete fedeli ai vostri principi pedagogici «Questo non si fa, quello non si dice, da bravi fratelli, vogliatevi bene!». Ma non c’è verso e alla fine non resta che dividerli: «Bene, visto che non sapete stare insieme, ognuno in camera sua!».
Impossibile fermare questo tipo di girotondo. A che serve trovare il punto di inizio quando il processo circolare è già attivato?
Succede la stessa cosa anche ai coniugi quando si attribuiscono le colpe: «Per forza sono nervosa, non mi stai mai vicino!». «Ci credo che non ti sto vicino, sei sempre nervosa!».
Un conflitto tra adulti, così come una più ingenua azzuffata tra piccoli, non vanno avanti se entrambi non mettono del carburante.
Vista in quest’ottica allora è più opportuno capire che cosa ognuno sta facendo per tenere in piedi il conflitto e cosa potrebbe fare per sgonfiarlo. Per litigare infatti bisogna essere necessariamente in due, ma per la pace basta che uno interrompa il circuito perché anche le azioni dell’altro diventino inef- ficaci.
Assomiglia quello che a livello internazionale i teorici della pace chiamano “disarmo unilaterale”.
Con le dovute misure per salvaguardare la loro integri- tà, educhiamo i nostri figli, fin da piccoli, ad amare il con- fronto ma a non lasciarsi irretire nelle spirali di annienta- mento dell’altro. Ne faremo dei piccoli costruttori di pace.