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IL FILM: PAROLE D'AMORE

22/2/2011

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Abbiamo già presentato Parole d’amore (Scott McGehee, David Siegel, 2005) per parlare della
ricerca della spiritualità (Sempre n. 6 giugno 2010). Ma c’è un altro livello di lettura, quello del padre (Richard Gere) che trascura la moglie e il figlio maggiore per dedicarsi in maniera troppo
ossessiva all’istruzione della figlia. 

Niente di male, per carità. In questo tempo in cui i fatti di cronaca sono intrisi di abusi ed incesti, un padre un po’ troppo attento alla preparazione di una figlia non è certo la cosa peggiore. Tuttavia lo squilibrio relazionale in famiglia sarà evidente nei suoi effetti, in quella moglie che prende una deriva compulsiva e nel figlio che è alla ricerca insaziabile di una spiritualità alternativa.

Il film è bello perché alla fine la figlia Eliza riuscirà con saggezza a restaurare un equilibrio. Ma nella realtà sarebbe meglio che i genitori non abdicassero alla loro funzione.

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NON SONO PIU' UNA BAMBINA!

22/2/2011

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PICCOLE DONNE CRESCONO. TALVOLTA I GENITORI SE NE ACCORGONO, ALTRE VOLTE NO. ALLORA CI PENSANO LE FIGLIE A METTERE I CONFINI, DOLOROSAMENTE. 


"In questo periodo mi sento un fallimento come padre– scrive Antonio da Milano–. La mia piccola Elisa (ha appena compiuto quattordici anni), la mia principessina di sempre, colei che da sempre mi chiamava “il mio eroe” non mi parla più. Da qualche mese è diventata scontrosa e irascibile. Tiene sempre il muso e ogni volta che cerco di parlarle mi dice: “Taci, che non sai niente!”. A scuola ha degli ottimi risultati, frequenta la parrocchia, è impegnata negli scout e ha compagnie sane... non sono preoccupato per questo. Ma mi spaventa vederla così fredda e arrabbiata nell’ambiente domestico. A pranzo e a cena si litiga sempre, non riusciamo più a ricreare quell’armonia e quella serenità di un tempo. Non capisco da dove derivi tutto questo astio nei miei confronti e (sebbene in misura minore) nei confronti di mia moglie».

Sai Antonio, la prima cosa che mi ha colpito della tua bella lettera – e che mi ha fatto sorridere– è stata questa “mia piccola Elisa” che sta per compiere... 14 anni!

Quando poi hai continuato con la “principessina” e tu “eroe”, ecco che le intuizioni cominciavano a trovare forma. C’è poi un altro fatto un po’ strano: spesso le ragazze (non “piccola”) a quella età diventano terribili con le mamme, non con i papà.

E allora la sensazione che ho sentito è che questa figlia il messaggio lo vuole dare a te. L’età è quella giusta. Il sogno di un mondo delle favole ormai è solo un ricordo. Il papà eroe, principe azzurro (sa un po’ di Edipo questa cosa) è ormai sfumato. Ormai ha ben chiari i tuoi difetti, i tuoi limiti, vuole raggiungere una visione reali- stica di te e della tua famiglia. 

Basta idealizzazioni, basta ragazze e famglie modello. Siamo reali, e ci incontriamo sui confini dei nostri limiti. Forse non te ne sei accorto e allora te lo grida. In te rimane la rassicurante immagine della bambina che ti tenevi sulle ginocchia e ti guardava con ammirazione. Antonio vedi, uno dei compiti del padre è quello di stabilire un contatto con la realtà e fissare dei confini, in questo caso i confini generazionali. Forse hai abdicato a questo ruolo ed Elisa ha dovuto sostituirti. Una sostituzione aspra però, a volte malposta, fuori dalle righe. Del resto, non era compito suo... 

Ristabilisci un contatto con tua moglie perché la percepisco molto sullo sfondo e chiedi a lei come rapportarti con tua figlia. Vedrai che saprà dirti qualcosa di illuminante. Comportati da padre e non cercare consolazione in tua figlia. Una padre vero, reale, che sa indicare la strada, che sa essere mentalmente presente ma che si sa spostare al momento opportuno per indicare la strada.

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IL FILM: CHICKEN LITTLE

1/2/2011

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È un film prodotto dalla Disney nel 2005, che riprende un suo vecchio personaggio dei fumetti. Non è facile la vita del piccolo polletto di campagna, che vive solo con il padre che non riesce a capirlo, anche se animato da buone intenzioni. Papà è grande e forte, e il piccolo non sarà mai come lui. Papà è deluso ma Chicken Little non si arrende e salverà il suo paese addirittura dagli alieni. Bel cartone da guardare con i bambini, che parla della difficoltà di un genitore solo, e di un figlio che troverà una forza più grande della sua statura.

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GENITORI A VENT'ANNI? SI, CON SANA INCOSCIENZA

7/1/2011

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Ore 15.45, tranquilla attesa all'apertura del cancello della scuola materna in un tiepida giornata primaverile. L'incauto padre oggi non ha il turno nel pomeriggio e si muove principiante tra le madri dei compagni di suo figlio.  All’esordio una domanda ingenua quanto devastante: «Buongiorno signora... lei è la mamma... o la nonna?». Ormai la frase è detta, e il goffo tentativo di nascondersi dietro qualche battuta non fa che peggiorare la situazione. «Ah, scusi, avevo il sole negli occhi... non ci vedo benissimo... eh sa, noi uomini facciamo spesso queste gaffes... è la terza volta che mi capita... mia moglie me
lo dice sempre di stare zitto...».

A dire il vero il dubbio permane. Sarà una nonna cinquantenne, ben tenuta e palestrata, o è una mamma quarantenne che ha appena finito il lavoro e non ha coperto bene i segni del tempo? Nel primo caso la signora andrà a casa avendo guadagnato una salute d’oro per almeno dieci anni, e racconterà il fatto alle sue amiche per i mesi a venire, nel secondo caso... l’amicizia sarà irri- mediabilmente compromessa.

Non è facile di questi tempi orientarsi tra le generazioni. Si potrebbero organizzare delle scommesse anche guar- dando i maschi che accompagnano i bambini al parco.

Mano nella mano con i piccoli, escono da auto lucide signori distinti con capelli brizzolati e barba bianca, e arrivano a piedi ragazzi quasi imberbi con bermuda e sandali. Sono nonni? Sono i fratelli maggiori? No, nella maggior parte dei casi sono padri. E se un tempo si poteva immaginare che i primi fossero padri attempati che accompagnano l’ultimo figlio, il quarto o il quinto della nidiata, e i secondi fossero semplicemente sposini alle prime armi, oggi non è così. L’Istat ci conferma che, dal 1990 al 2006, i figli unici sono ormai la maggioranza.

Ed è sempre l’Istat a confermarci anche che l’impressione che tutti abbiamo dell’aumento dell’età media dei genitori è fondata.

Tra gli anni ’50 e oggi l’età media di una donna al primo figlio è passata da 25 a 29 anni. Quella dei padri invece è arrivata a 33 anni. Ma sono sempre più le donne che non hanno problemi ad affrontare maternità – la prima mater- nità si intende – anche over 40. Per i padri addirittura la sfida del tempo pare non avere limite, visto che l’orologio biologico, almeno dal punto di vista procreativo, è più prodigo.

Nel corso di un sondaggio nazionale condotto nell’anno 2006, alla domanda «A che età sei diventato padre per la prima volta?», il 25% degli italiani ha risposto «tra i 20 e i 29 anni», il 60% «tra i 30 e i 39 anni» e il 15%«dopo i 40 anni». E riguardo «i motivi del rimando della paternità», il 47% ha dato la colpa a problemi economici, il 26% ha dichiarato che a non sentirsi pronta era la sua partner, il 13% ha risposto di aver rimandato la nascita del primo figlio per motivi legati al lavoro o alla ricerca di una soluzione abitativa; infine un 14% ha dichiarato di non sentirsi pronto ad aver figli.

L’analisi è quindi piuttosto complessa. Si intersecano variabili sociologiche, come la difficoltà a stabilizzarsi sul mercato del lavoro e di conseguenza a pensare di accendere un mutuo, con altre più prettamente psicologiche, legate a un senso di insicurezza e immaturità rispetto al «grande salto».

Sì perché, sempre parlando di sondaggi, emerge chiaramente che – molto più dell’età cronologica, dell’uscire di casa, dello sposarsi, dell’avere un lavoro – è proprio avere un figlio che oggi è considerato come la consacrazione definitiva dell’appartenenza al mondo adulto. Quindi i conti tornano: ci si sposa sempre meno, sempre più tardi, la scelta di avere un figlio viene procrastinata e alla fine... è chiaro che se ne fanno pochi. Non si può liquidare la questione dicendo che avere figli tardi sia necessariamente una brutta abitudine. Occorre però fare qualche ragionamento. Diventare genitori è un atto biologico, ma anche legato all’ambiente nel quale si vive. Avere figli è – si diceva – una «cosa da grandi», ed essere adulti non dipende solo dall’età. Nelle società semplici, nelle quali i processi di socializzazione sono molto essenziali, l’età adulta corrisponde grosso modo con l’età riproduttiva. Nelle società come la nostra, per essere adulti, autonomi, è necessario passare una serie di tappe obbligate prima delle quali è impensabile sganciarsi dalla propria famiglia. Per alcuni – sempre meno – basterebbero le scuole dell’obbligo
e i 2-3 anni per trovare e consolidare un lavoro, e già si arriverebbe ai 20-21. Ma per i più si tratta di un percorso fatto di scuola, università, tirocinio o praticantato, un mini- mo di carriera per mettere via un piccolo gruzzoletto e iniziare la famiglia. Ma lungo la strada ci possono essere anche degli imprevisti: l’indirizzo scolastico che non fa per noi, qualche anno di crisi all’università, problemi sul lavoro, la persona sbagliata. Si fa presto ad arrivare alla soglia dei 40 e preparare la lista nozze. E sono bravi ragazzi, li conosciamo tutti. Ma intanto l’età avanza, anche se i cosmetici e la palestra cercano di farlo dimenticare. Il progresso attuale è avvenuto in maniera vertiginosa negli ultimi secoli, e il nostro corpo non si è ancora adattato. Dal punto di vista biologico i figli sarebbe più convenien- te farli intorno ai vent’anni. Si è più fecondi, certo, ma non solo. Si perdoni la banalità, ma per fare le ore piccole a consolare coliche, aprire e chiudere passeggini, caricarli in macchina, rincorrere un bimbo che scappa sulla strada... ci vuole un fisico bestiale, e 20 anni o 40 non sono proprio la stessa cosa. Dalla parte dei genitori più maturi sta una presunta maggiore consapevolezza di sé, e quindi una competenza a muoversi con più sicurezza nella società. E questo non può che far bene ai bimbi. Ma poi c’è il paradosso della dif- ferenza di età: in una società che cam- bia sempre più velocemente aumenta il divario di età tra genitori e figli. Chi ha un figlio a 40 anni, a 60 avrà un giovane che si affaccia all’università e a 70 un trentenne che affronta il mercato del lavoro. C’è da sperare di rimanere in forma!

Ciò che nelle argomentazioni sulla genitorialità stupisce maggiormente è l’enfasi sugli aspetti più razionali della questione. Arrivati a una certa età – complice l’effettiva maturazione – pare che per alcuni progettare di avere un figlio sia come progettare una casa o una vacanza. Siamo pronti? Abbiamo la casa? Il lavoro? Siamo una coppia stabile? Abbiamo previsto le spese? Abbiamo l’assicurazione? L’ossessione per il calcolo.

Questa è la grande differenza: chi i figli li mette al mondo a vent’anni lo fa con un po’ di sana incoscienza. Incoscienza
sì, quanto basta per considerare che diventare genitori trascende la nostra capacità di calcolo e proietta verso gli orizzonti infiniti della vita che si dispiega. Per chi ha poi il dono della fede, la vita che nasce è partecipazione all’amore di Dio che fin dall’eternità ha un sogno su ogni creatura. È difficile trovare una persona che rimpianga di avere messo al mondo un figlio, succede in momenti di grande sofferenza e solitudine. Ma tutti conosciamo decine di persone che più o meno velatamente rimpiangono di aver aspettato troppo, o di aver avuto paura a fare un figlio in più quando potevano, per motivi che ora paiono banali.

Ben vengano quindi le scelte ponderate, sagge, sapienti, ma gli sposi non perdano mai la freschezza giovanile di buttare il loro amore oltre gli ostacoli quotidiani per partecipare in maniera appassionata, con coraggio e fede, alla grande avventura della vita.

E questo valga per gli sposi di vent’anni e per quelli di quaranta.

PIù TARDI MENO FIGLI

L’età media alla nascita del primogenito per le donne nate nella prima metà degli anni ’60 risulta di poco superiore ai 27 anni, con un aumento di poco meno di 2,5 anni rispetto alle nate a inizio anni ’50. L’età media al primo figlio per gli uomini nati nella prima metà degli anni ’60 supera invece i 33 anni, ed è aumentata di circa 3,5 anni rispetto ai nati a inizio anni ’50. Le analisi evidenziano che più tardi gli uomini arrivano a entrare in coppia e più tendono a posticipare ulteriormente la decisione di mettere al mondo un figlio. La propensione ad avere il primo figlio si riduce di circa l’80% per chi si sposa attorno ai 35 anni rispetto ai 25.


Fonte ISTAT
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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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    che scrivo su Sempre
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