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PAPA' CHE LAVORO FAI?

22/2/2011

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COME FA UN GIOVANE AD AVERE PASSIONE DEL LAVORO SE NON HA MAI VISTO SUO PADRE LAVORARE? EFFETTI COLLATERALI DI QUESTA NUOVA FORMA DI ALIENAZIONE

"Mio figlio fa la quarta superiore ma quest’anno penso proprio che non ce la farà – esordisce la mamma – non che gli altri anni fosse una cima, ma quest’anno è proprio un disastro».

«E che fa, signora, al posto di studiare? Nulla, è di un’apatia... che mi dà sui nervi. Pochi amici, niente sport, qualche giochetto al computer. Non c’è niente che lo appassiona». «Suo marito che lavoro fa?». «Fa l’impiegato in una
azienda ad una trentina di chilometri da casa». «È mai stato suo figlio a vedere papà al lavoro? «No!». Come mai? Ve l’hanno proibito?».

«Ma no! – risponde sorpresa – Cosa vuole che ci sia da vedere? Uffici, carte, sedie...»

E così è scontato che la maggior parte degli adolescenti è completamente estranea al lavoro del padre, “alienata” per usare un termine caro al primo Marx.

Padri che partono la mattina, tornano la sera, magari sono pure bravi e interessati ai figli.

Un tempo molte professioni permettevano che i figli vedessero i padri al lavoro. In primis le professioni legate alla terra. «Papà coltiva i campi, alleva animali, io lo posso sentire la mattina quando si alza presto, lo vedo quando sto partendo per andare a scuola, lo rivedo durante la giornata quando entra in casa per ristorarsi e, quando ne ho voglia, so dove posso andarlo a trovare». Stessa cosa per gli artigiani, per i negozianti.

Uno dei principali effetti collaterali della rivoluzione industriale è stata quella di strappare i padri ai figli. «Vedo papà partire, non so dove va, e poi ritorna sfinito».

Oggi, che viviamo in un epoca post industriale, sotto certi aspetti la difficoltà è ancora maggiore. Se infatti uno può immaginare che cosa va a fare il padre operaio (racconta infatti della fabbrica, del tornio, dei suoi colleghi, del capo e delle macchine) molto più astratto è il lavoro dei cosiddetti “colletti bianchi”.

«Che fa tuo padre?». «L’impiegato». E che significa? Mah.

Ecco la difficoltà di prefigurarsi la concretezza di un lavoro futuro e la caduta in una sorta di apatia.

Non necessariamente un figlio intraprenderà la professione del padre, ma intanto interiorizza ciò che significa per un uomo lavorare.

Ma bisogna vedere, sentire i suoni, l’odore.

Mio padre faceva l’infermiere, e ricordo ancora – facevo le elementari – quando mi portava fuori del suo orario in ospedale. Ricordo come si muoveva agevolmente per quei lunghi corridoi, ricordo i saluti dei suoi colleghi e le presentazioni, le sbirciatine alle attrezzature, l’odore di disinfettante. E così, mentre ero a scuola, potevo immaginarmelo al suo lavoro, e pensare che impegnandomi anch’io un giorno ne avrei avuto uno. Ognuno pensi come donare a suo figlio questa esperienza.



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NON SONO PIU' UNA BAMBINA!

22/2/2011

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PICCOLE DONNE CRESCONO. TALVOLTA I GENITORI SE NE ACCORGONO, ALTRE VOLTE NO. ALLORA CI PENSANO LE FIGLIE A METTERE I CONFINI, DOLOROSAMENTE. 


"In questo periodo mi sento un fallimento come padre– scrive Antonio da Milano–. La mia piccola Elisa (ha appena compiuto quattordici anni), la mia principessina di sempre, colei che da sempre mi chiamava “il mio eroe” non mi parla più. Da qualche mese è diventata scontrosa e irascibile. Tiene sempre il muso e ogni volta che cerco di parlarle mi dice: “Taci, che non sai niente!”. A scuola ha degli ottimi risultati, frequenta la parrocchia, è impegnata negli scout e ha compagnie sane... non sono preoccupato per questo. Ma mi spaventa vederla così fredda e arrabbiata nell’ambiente domestico. A pranzo e a cena si litiga sempre, non riusciamo più a ricreare quell’armonia e quella serenità di un tempo. Non capisco da dove derivi tutto questo astio nei miei confronti e (sebbene in misura minore) nei confronti di mia moglie».

Sai Antonio, la prima cosa che mi ha colpito della tua bella lettera – e che mi ha fatto sorridere– è stata questa “mia piccola Elisa” che sta per compiere... 14 anni!

Quando poi hai continuato con la “principessina” e tu “eroe”, ecco che le intuizioni cominciavano a trovare forma. C’è poi un altro fatto un po’ strano: spesso le ragazze (non “piccola”) a quella età diventano terribili con le mamme, non con i papà.

E allora la sensazione che ho sentito è che questa figlia il messaggio lo vuole dare a te. L’età è quella giusta. Il sogno di un mondo delle favole ormai è solo un ricordo. Il papà eroe, principe azzurro (sa un po’ di Edipo questa cosa) è ormai sfumato. Ormai ha ben chiari i tuoi difetti, i tuoi limiti, vuole raggiungere una visione reali- stica di te e della tua famiglia. 

Basta idealizzazioni, basta ragazze e famglie modello. Siamo reali, e ci incontriamo sui confini dei nostri limiti. Forse non te ne sei accorto e allora te lo grida. In te rimane la rassicurante immagine della bambina che ti tenevi sulle ginocchia e ti guardava con ammirazione. Antonio vedi, uno dei compiti del padre è quello di stabilire un contatto con la realtà e fissare dei confini, in questo caso i confini generazionali. Forse hai abdicato a questo ruolo ed Elisa ha dovuto sostituirti. Una sostituzione aspra però, a volte malposta, fuori dalle righe. Del resto, non era compito suo... 

Ristabilisci un contatto con tua moglie perché la percepisco molto sullo sfondo e chiedi a lei come rapportarti con tua figlia. Vedrai che saprà dirti qualcosa di illuminante. Comportati da padre e non cercare consolazione in tua figlia. Una padre vero, reale, che sa indicare la strada, che sa essere mentalmente presente ma che si sa spostare al momento opportuno per indicare la strada.

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PAURA DEL FUTURO

22/2/2011

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SCEGLIERE È LIBERTÀ, MA SCEGLIERE NELL’INDECISIONE È ANGOSCIA. COME FARE CON UN GIOVANE CHE SI DISPERDE RISPETTO AL SUO PROGETTO DI VITA?

"Ma porc... gli mancano 5 esami e adesso vuole mollare tutto. Gli abbiamo dato un anno nel quale non ha fatto un tubo. Pensavamo un periodo di crisi, ma adessso, dopo che l’abbiamo mantenuto per una vita a studiare, vuole cercarsi un lavoro. Di questi tempi poi, chi vuole che lo prenda. Magari a fare il muratore».

«... E che ci sarebbe di male?» provoco un po’.

«Beh, guardi, non sarebbe nemmeno quello il problema, se poi lui fosse felice. Ma un giorno vuole fare l’in- gegnere, adesso voleva fare l’avvocato, ma poi si chiede se non è meglio fare teatro ed “esprimere il suo talento”, non so quanta confusione c’ha in testa quello lì».

Quanti giovani universitari, speranza di mamma e papà, fanno a gara per deludere le aspettative e proiettarsi in un buco di depressione, oppure saltare di entusiasmo in entusiasmo, con una rapidità che si trasforma in effimero, perché il cambiamento è troppo rapido per lasciare traccia. E allora ansia e panico... il timore di disperdersi.

Figli dell’occidente. Figli della cultura dove fagocitiamo tutto e non siamo sazi: cibo, oggetti, progetti.

Hanno ragione gli antropologi, quando ci spiegano che in una società primitiva, senza alcuna possibilità di scelta, la percezione è di avere tutto, di non mancare di nulla.

Oggi noi abbiamo molte più cose, ma allo stesso tempo sono infinite quelle che non abbiamo. Quindi, al confronto, non abbiamo nulla. Per quante cose possediamo, sentiamo che di più ce ne mancano. Per quanti titoli abbiamo, sentiamo che non sono mai abbastanza per rassicurarci.E allora scegliere, da attività liberatoria, diventa angosciante. Perché scegliere, decidere, ed esprimere se stessi nella libertà, scivola velocemente nella scelta che diventa perdita, perdersi.

Le crisi spesso arrivano a pochi passi da un traguardo. Perché mentre si vede la meta sale nello stomaco una domanda: «... e poi?».

I genitori si trovano disarmati o perché non l’hanno dovuta affrontare, e quindi non capiscono questo figlio che “ha tutto ma non è contento di nulla”; oppure perché, in fondo, l’hanno dovuta affrontare ma non l’hanno digerita.

E così questo turbamento di stomaco riattiva quello di un genitore, o di entrambi, che vogliono far tacere l’inde- cisione del figlio per far tacere la loro.

Attraversare insieme la palude nebbiosa.

Questo è il viaggio da fare, facendo certo attenzione alle insidie che stanno sotto i piedi, ma soprattutto alzando spesso lo sguardo per tenere fissa la direzione.

Che ne dite di una semplice discussione tipo: «Quali sono le cose per cui viviamo? Quali sono i nostri valori?»

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IL FILM: STAND BY ME

18/2/2011

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La preadolescenza alla ricerca della prima avventura, l’amicizia, la costruzione della propria identità: sono gli ingredienti di Stand by me – Ricordo di un’estate (Reiner, 1986)

La storia si svolge a Castle Rock, piccola cittadina immaginaria nell'Oregon, durante l'estate del 1959. Il narratore è Gordie Lachance, che, da adulto, racconta le sue avventure di dodicenne dal carattere introverso e insicuro. C’è poi l'occhialuto Teddy Duchamp, "matto a quattr'occhi" con un padre menomato, Vern Tessio, preso sempre in giro da tutti perché è sbadato e sovrappeso, e il saggio Chris Chambers, leader e paciere del gruppo, ma schiacciato dalla brutta fama della sua famiglia. Partono impauritI alla ricerca di un cadavere e il viaggio, dentro e fuori di loro, li accompagnerà attraverso le loro paure, il loro desiderio di riscatto, la loro amicizia acerba ma sincera, l’unione che fa la forza.

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IL FILM: JUNO

2/2/2011

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Meglio non avere fretta di diventare grandi
È lo slogan del film Juno (Jason Reitman, 2007) che racconta di una giovane adolescente che resta incinta di Paulie, suo compagno di scuola. Sulle prime decide di abortire, ma poi opta per dare il bambino in adozione. Bel film, ricco di spunti, sicuramente apprezzabile da parte di quanti si battono per i diritti della vita nascente. In fondo Juno cambia idea quando, di fronte alla clinica, una sua compagna di classe in solitaria con tanto di cartello incita slogan a sostegno del bambino. Bisognerà però anche riflettere su questi adolescenti “sessualmente attivi” che giocano a fare gli adulti.

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IL FILM: 3MSC

2/2/2011

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3msc

T
re metri sopra il cielo (Lucini, 2004), Scamarcio ha uno sguardo magnetico che fa impazzire ragazzine e madri. È la storia degli opposti che si attraggono. Babi è la studentessa modello e Step il ragazzaccio che vive di risse e gare clandestine.

Ma gli opposti troppo opposti si attraggono pericolosamente, fino al triste epilogo: «Non ce la faccio più, non si può mai essere felici con te», dice lei, e lui replica «Non sei felice con me? Che vuoi dire? Che non ti ho dato niente? Questo vuoi dire?». E Babi: «Per un minuto ti senti in paradiso con te, però l’attimo dopo è l’inferno». La seduzione dell’eccesso: se la conosci, la eviti.

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IL FILM: EAST IS EAST

2/2/2011

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East is east
Se si cerca un nugolo di adolescenti tutti in una famiglia questo è il film giusto. East is east, inglese, del 1999. Se poi si considera il fatto che il padre è pakistano e la madre inglese, con una concezione completamente differente riguardo l’educazione dei figli... allora la trama è fatta. Film impegnato ma anche molto piacevole, ricco di spunti umoristici. I figli sono sette e tra chi cerca la trasgressione nelle sale da ballo dei primi anni ’70, chi è alle prese con i primi amori, e il rovinoso naufragio di una cerimonia di nozze combinate, si viaggia all’interno di una famiglia che trova motivi – come tutte – per imparare a crescere nella diversità.

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MIA FIGLIA NON HA AMICHE

1/2/2011

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DURANTE L’ADOLESCENZA – SI SA – I COETANEI GIOCANO UN RUOLO IMPORTANTISSIMO PER RINFORZARE L’AUTOSTIMA. MUOVERSI CON DESTREZZA ALL’INTERNO DEL GRUPPO DEI PARI AD ALCUNI NON RISULTA SEMPLICE. CHE FARE?



"Tutto sommato è una brava ragazza, a scuola ha dei buoni voti, ma la vedo sempre più chiusa. Le insegnanti mi dicono di non preoccuparmi, ma io la vedo che è triste, qualche volta la porto via con me». È raro vedere un padre, affermato professionista, che si preoccupa per la figlia tredicenne. Solitamente sono le mamme... ma lui ha voluto venire da solo. «E sua moglie che dice?». «Ah, guardi, questa è la cosa che ci fa più litigare, quando parliamo di Anna ci sono sempre contrasti. Lei mi accusa di essere poco presente, di lavorare troppo».

«Secondo lei sua figlia ha preso più dal papà o dalla mamma?».

«Beh, il suo carattere è decisamente più simile a quello di mia moglie: un po’ riservata, direi quasi chiusa. È mio figlio, quello più piccolo, che assomiglia più a me. A sette anni è già il leader della classe, continua a fare proposte, è invitato a tutte le feste di compleanno... ah, i compleanni, la settimana scorsa Anna non è stata invitata ad una festa... non ci ha detto niente, ma io ho visto che c’è rimasta malissimo. Anche domenica scorsa alla fine della Messa, io vedevo che cercava di avvicinarsi, ma ha un at- teggiamento impaurito... chi vuole che la accetti così?».

Ma che bel cerchio! Mamma vede che la figlia è in dif- ficoltà, si identifica e sente di non avere strumenti da passare, forse si sente immobilizzata come era alla sua età... allora coinvolge il padre, uomo sicuro di sé ma quasi irraggiungibile. Lui è un maschio, anche volonteroso, mapoco incline a sintonizzarsi. Anna sentirà mamma incapace
e papà troppo avanti, probabilmente anche a causa di alcune frecciatine che volano nell’aria più o meno velate: «Ma non vedi che è come te? Datti una svegliata!» dirà probabilmente lui, e lei«Te l’avevo detto, con tutto il tem- po che passi a lavorare i figli ci rimettono, tu ci trascuri!». Come sempre, trasformare la differenza in risorsa è il lavoro più difficile ma più affascinante, perché toglie dall’immobilismo, libera da una colpa bloccante e resti- tuisce ad ogni genitore la propria responsabilità (abilità
a dare una risposta). Mamma aiuti papà a sintonizzarsi sulla debolezza della figlia senza spaventarsi, a non darle solo soluzioni “da vincente” ma soprattutto vicinanza, incoraggiamento, stima. E questo potrà farlo prima di tutto colmando di stima sua moglie. Papà aiuti mamma a distinguere tra lei e la figlia, sostenga e rassicuri sua moglie. Lei inviti il marito ad essere più presente ma evitando le colpe... lui ha bisogno di sentirsi un eroe. Solo con questi passi, Anna si sentirà riarmonizzata e più predisposta all’incontro con le amiche.
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IL FILM: TUTTA LA VITA DAVANTI

1/2/2011

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Lavoro da fuori di testa.

Le vicissitudini di una neolaureata nell’universo del lavoro precario. È il filo conduttore dell’interessante Tutta la vita davanti (Virzì, 2008). Marta è una ragazza colta che trova lavoro nel call-center di un’azienda che commercializza un elettrodomestico tuttofare (e difettoso), e si avventura così nel mondo assurdo e grottesco di giovani avvenenti telefoniste, venditori invasati quanto i loro superiori, danze motivazionali, jingle aziendali, premiazioni e penitenze.

Uno sguardo a volte feroce e a volte sapientemente ironico, quello di Virzì, che presenta in modo iperbolico ma purtroppo molto realistico le assurdità del moderno mondo del lavoro, visto con gli occhi divertiti e sgomenti di una giovane filosofa.

Un film consigliato ai genitori dei ragazzi alle soglie della maturità; da guardare con occhio critico per coglierene le esagerazioni ma anche gli spunti acuti che offre, e per metterci in guardia.


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FIGLI ETERNI

1/2/2011

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FINO A CHE ETÀ SI RIMANE “FIGLI”? FINO ALL’INDIPENDENZA ECONOMICA? O FINO ALL’USCITA DI CASA? O FORSE FINO ALLA MORTE DEI GENITORI E OLTRE? MA ESSERE FIGLI NON VUOL DIRE “FARE I RAGAZZI”


"Pronto dottore – all’altro capo del telefono una voce femminile elegante e pacata – vorrei prendere un appunta- mento con lei perché ho problemi con i miei figli».

«Va bene signora, viene da sola o con suo marito?», intan- to raccolgo le prime informazioni. Attimo di silenzio: «Mio marito? Ah, no no, vengo solo io... le dirò».

Tutto potevo aspettarmi meno che la donna che mi si presentava davanti avesse la bellezza di 68 (!) anni. Alla faccia dei figli! 40 anni il più giovane e 44 la figlia mag- giore. Entrambi in casa, entrambi con lavori precari, en- trambi con delusioni amorose alle spalle.

Altra scena: mamma 60enne viene ansiosa per quel figlio 35enne che – una volta licenziato – si è «buttato giù e adesso non va nemmeno più a cercar lavoro. Passa le giornate a letto o davanti al televisore, poi sta un paio d’ore in bagno a lavarsi, curarsi e vestirsi bene, ed esce. Tutte le notti rientra alle 3, alle 4... quando va bene».

Figli del ricco Veneto. Figli che negli anni 80 e 90 guida-vano orgogliosi neopatentati il fuoristrada di papà. Figli di genitori che hanno sgobbato una vita per mettere a regime un’impresa familiare che ha dato una sicurezza economica insperata. Il miracolo del nordest!

A scuola molti non avevano nemmeno bisogno di im- pegnarsi perché – tanto – qui il lavoro non è mai manca- to, il posto assicurato nell’azienda o nello studio di papà, e se rompe si trova comunque un lavoretto ben pagato e con buone prospettive di carriera.
Ma i tempi cambiano e gli ultimi anni sono piuttosto sfavorevoli. L’attività di papà si è spenta con lui; quando ha raggiunto la pensione, nessuno ne ha raccolto l’eredità, e anche le imprese degli amici non cercano personale. Restano le belle ville semideserte, i genitori anziani, e quel gruzzoletto che permette di dire che – sì, va male – ma non così male da essere alla carità.

I genitori non hanno più forza, i figli non l’hanno mai allenata. E così si ferma la ruota, quel ricambio generazio- nale che da millenni fa della famiglia un’organismo vitale che si rigenera continuamente.

«Eh, dottore. Sa, è triste morire senza nipotini...» o «Vorrei almeno avere la soddisfazione di vedere i miei figli sistemati». È comune sentire una nebbia di tristissima immobilità che avvolge alcune famiglie al declino. Genitori con gli anni che avanzano e figli ormai canuti che si atteggiano da eterni 18enni.

Cambiare stile a 40 anni è molto più difficile che a 18.
Chi li salverà? E se fosse proprio questa crisi economica a dare in modo drammatico lo scossone di cui c’è bisogno?
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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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    per altre riviste.
     


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