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UNA MADRE CORAGGIOSA

1/2/2011

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LA VITA DEI VEDOVI E DELLE VEDOVE È PROVATA DAL DOLORE DELLA PERDITA DEL CONIUGE. MA CON FORZA, CORAGGIO E INTELLIGENZA D’AMORE POSSONO CRESCERE POSITIVAMENTE I LORO FIGLI, ED AIUTARLI A MATURARE CON UNA GRANDE UMANITA'


Si parla spesso delle fatiche di educare i figli, di appianare le divergenze educative tra i coniugi. Si rischia di dimenticare chi, come Giovanna, ci dice che «la difficoltà di fare famiglia per me è quasi quotidiana. Vivo sola con uno splendido figlio di undici anni perché mio marito è morto nel 2004. Abbiamo un bellissimo rapporto basato sul rispetto dei nostri ruoli, ma denso di tanto affetto. Non ho mai pensato di assumere anche il ruolo di padre perché cerco con grande modestia di assolvere a quello di mamma. Ora però che Andrea sta crescendo temo che l’assenza del padre possa in qualche modo turbare il suo equilibrio».

Cara Giovanna, grazie per la tua bella e forte testimonianza di mamma che dona affetto a piene mani nonostante le difficol- tà della vita. Don Oreste è stato tra i primi a parlare di “eclissi del padre” quando ancora nessuno se ne era accorto. Rilevava lo sbiadimento e la debolezza dei padri che c’erano, ma allo stesso tempo diceva che quando il padre veniva a mancare - come nel tuo caso - la madre aveva in sé tutte le potenzialità per far crescere il figlio in maniera equilibrata. Quindi, tu giustamente sei pre-occupata (cioè pensi prima a come occuparti di lui) per tuo figlio e fai bene, perché sei una mamma premurosa. Io penso che l’amore e la costante e intelligente ricerca di strumenti adeguati siano sufficienti a farvi attraversare positivamente tutte le difficoltà legate alla crescita e alla tua particolare situazione. Se posso solamente darti qualche suggerimento, sono due i rischi che vedo legati alla tua situazione. Il primo è che creiate un rapporto troppo stretto dal quale facciate poi fatica a svincolarvi, il secondo è che Andrea si senta talvolta diverso dai coetanei che hanno il padre. Per il primo aspetto credo che un costante monitoraggio e un incoraggiamento a trovarvi i vostri reciproci spazi, che lui coltivi le amicizie della sua età, possano bastare. E mi sembra che in te ci sia la saggezza per favorire questo movimento. Per il secondo cogliere e dare voce ai suoi sentimenti anche di sconforto, lo possono aiutare. Poi c’è il fatto dei modelli, di cui tutti abbiamo bisogno: Andrea è grande abbastanza per capire che gli altri maschi non sono suo padre, quindi tu puoi adoperarti affinché lui possa frequentare uomini che gli forniscano un modello positivo maschile: un allenatore, un animatore
particolarmente in gamba, uno zio. Il fatto che tu sia in continua ricerca è garanzia di una genitorialità che - come sappiamo - non è mai perfetta ma “sufficientemente adeguata”.
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IL FILM: DEPARTURES

1/2/2011

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Dolcissima cura della morte.
Departures (Yojiro Takita, 2008) è un film geniale, ironico, dolce e profondo. Il violoncellista Daigo si trova improvvisa-
mente disoccupato in seguito allo scioglimento dell'orchestra nella quale suonava da anni, e così decide di tornare, con la moglie Mika, nel suo paese natale. Sfogliando il giornale, trova un annuncio che cattura la sua attenzione: "Assistiamo coloro che partono per dei viaggi"; convinto che si tratti di un'agenzia di viaggi, telefona e fissa il colloquio. Ma presto Daigo scopre che l'agenzia non si occupa di viaggi, bensì dell'ultimo viaggio. Le vicende del “tanatoesteta” (“abbel- litore della morte”) che deve affrontare l’iniziale imbarazzo per un lavoro così atipico, la repulsione della moglie e le minacce del suo amico d’infanzia, ci accompagnano durante il film in un sapiente intrecciarsi tra il suono dolce e sacro del violoncello, i suoi movimenti sempre più preci- si e discreti, e il suo avvicinamento al tema tabù della morte. E un viaggio dentro di sé, alla riscoperta del legame con un padre che lo aveva abbandonato.

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VIVERE IL LUTTO

1/2/2011

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IL DOLORE PER IL DISTACCO DA UNA PERSONA CARA. TRA IL SOFFOCARLO E L’ESPLODERLO STA DI MEZZO IL VIVERLO. CON MESTIZIA E UMILTÀ, ALLA SCUOLA DELLA COMPASSIONE

"Da quando è morta mia madre il tempo pare essersi fermato. Viveva in casa con me, mia moglie e in nostri due figli da quindici anni ormai, da quando era rimasta vedova. Siamo credenti, quindi sappiamo che la nonna ci attende in cielo, ma questo non ci è di conforto, anzi. Ogni giorno che passa – sarà anche l’autunno – si fa sempre più buio. 

Soprattutto mio figlio più grande, che quest’anno fa la quinta superiore, è diventato scuro e taciturno. Eppure, quando era viva, e anche al funerale, sembrava molto sereno. Per quanto durerà questa tristezza? Mi sento molto inquieto».

Durerà finchè non sarà passato il tempo del lutto. “Lutto” deriva dal latino luctus, lugeo, che significa letteralmente “piangere”. È un lamento che parla e che deve essere ascoltato, così che l’esperienza del dolore, della perdita possa essere condiviso e diventi un patire con, una com-passione. È partecipandoci il lutto che si condivide il dolore nostro e degli altri, che diventa allora “com-patibile” con la nostra natura umana.

Un cerchio – quello della perdita, dolore, lutto, compas- sione – un movimento allora che spezza le catene dell’im- mobilità, del «tempo che pare essersi fermato».

L’elaborazione del lutto non è cosa semplice, e non è cosa che si possa spiegare, perché si tratta di un’esperienza. Esperienza dolorosa, certo, ma intimamente e squisita- mente umana. Per quanto cerchiamo di distrarci, o cer- chiamo conforto nelle relazioni con gli altri o con l’Altro che dà significato alla nostra esistenza, non possiamo mai togliere del tutto questo dolore che ci scava nella profondità dell'essere.
È la perdita di una persona cara, che ha a che fare con i
nostri vissuti di separazione e la paura del cambiamento. In una famiglia un lutto è un cambiamento estremo per- ché obbliga a pensare immediatamente a tutte le relazioni “senza” quella persona, che aveva un posto preciso, un ruolo, una serie infinita di legami affettivi.

Ecco quindi i sentimenti di rabbia, di disperazione, di storidimento.

In una società come la nostra, che tende a negare o a spettacolarizzare la morte, si è perso il senso del lutto. Non siamo padroni della vita come non siamo completamente padroni delle nostre emozioni di fronte alla morte.

Le possiamo condividere, come puoi condividerle con quel tuo figlio che parla attraverso il suo silenzio, e fare in modo che – come le foglie che cadono diventano feconde per il terreno – così anche il dolore di questa morte diventi fecondo per i legami che continuano nella vostra casa.
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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

    In questo blog trovate la rubrica mensile
    che scrivo su Sempre
    e articoli scritti
    per altre riviste.
     


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