Una famiglia apparentemente normale ed unita quella nella quale entriamo nel film Ricordati di me (Muccino, 2003). Ma il clima è di nevrotica e angosciante normalità. Perché? Perché Carlo, il padre, che voleva diventare uno scrittore, lavora per una società di assicurazioni; Giulia, sua moglie, è una professoressa di lettere che aspirava a diventare attrice; Paolo, il figlio, è il solito insicuro che non riesce a dichiararsi alla ragazza che gli piace; Valentina desidera diventare una velina ad ogni costo. Ognuno chiuso nel suo mondo in bilico tra la realtà e l’illusione. La situazione precipita quando Carlo incontra la sua vecchia fiamma. Da quel momento Giulia cadrà nella disperazione più totale. Molto intense le scene del conflitto coniugale che prorompe in primo piano mentre i due figli – annebbiati e confusi sullo sfondo – sono lasciati soli in balia delle loro intemperanze adolescenziali.
In famiglia ma soli.
Una famiglia apparentemente normale ed unita quella nella quale entriamo nel film Ricordati di me (Muccino, 2003). Ma il clima è di nevrotica e angosciante normalità. Perché? Perché Carlo, il padre, che voleva diventare uno scrittore, lavora per una società di assicurazioni; Giulia, sua moglie, è una professoressa di lettere che aspirava a diventare attrice; Paolo, il figlio, è il solito insicuro che non riesce a dichiararsi alla ragazza che gli piace; Valentina desidera diventare una velina ad ogni costo. Ognuno chiuso nel suo mondo in bilico tra la realtà e l’illusione. La situazione precipita quando Carlo incontra la sua vecchia fiamma. Da quel momento Giulia cadrà nella disperazione più totale. Molto intense le scene del conflitto coniugale che prorompe in primo piano mentre i due figli – annebbiati e confusi sullo sfondo – sono lasciati soli in balia delle loro intemperanze adolescenziali.
1 Comment
Oh che bello il decimo anniversario, mi hai chiesto com’è andata ieri... Ti dico solo che il “signor architetto” [il marito, ndr] doveva essere a casa tutto il giorno, ma mi ha concesso dal pranzo in poi... e arriva un sms delle 12.38: «ti chiamo quando riesco a partire». Notare: da Verona a Legnago, 50 km! Durante il pranzo, poverino, era tormentato dal dubbio se ce l'avrebbe fatta ad andare da un cliente il giorno successivo... Dopo cena: impegno in parrocchia per entrambi, e poi ha lavorato fino a notte fonda. Beeeeello eh???!!! Riesci ad immaginare come mi sono sentita importante? Comunque, dovendo scegliere se azzannarlo o tenerlo... stamattina l'ho invitato a bere un caffè prima di andare a lavorare... Adesso sono incerta se sono stata buona o asina. Ciao! Carissima, non si è mai " asini" a scegliere consapevolmente di rilanciare il rapporto con il coniuge anche se si è un pò arrabbiati. Tienitelo pure, siete belli belli anche se un pelino litigarelli...La tua rabbia e la tua ironia si fondono in maniera molto simpatica, quindi posso supporre che tra di voi ci sia un rapporto ormai consolida- to, nonostante il permanere di zone di temporanea incomprensione.
Ora, lo so che potrai sentirti poco capita anche da me per quello che ti sto per dire, però te lo dico lo stesso perchè sai che come coppia vi stimo e vi voglio bene. Semplicemente chi sente con più sensibilità questi eventi (tu..?) si faccia carico dell'organizzazione. Ora, capisco che ci possano essere degli inghippi di lavoro... va be'... ma– siamo sinceri – l'impegno in parrocchia la sera dell'anniversario proprio non esiste, quella ve la siete voluta! Non serve essere eroici in un giorno speciale per voi, a meno che non sia una scelta consapevole di entrambi, ma non mi pare. Le cose belle vanno celebrate, e proprio le celebrazione servono a dare il carattere di stra-ordinarietà, cioè fuori dall'ordinario, del vivere quotidiano. Entrambi avete la possibilità di sentire che vi state dedicando un momento speciale. Allora, se vuoi un consiglio, l’anno prossimo lavorate a capofitto finché volete, non annacquate la giornata con mezze-cose e delusioni, la festa è qualcosa di speciale che si stacca dal solito tran-tran! Fate quello che volete tutto il giorno, l’architetto visiti pure tutti i clienti che vuole, tu stai pure con i tuoi molti figli, dedicatevi agli altri. Ma alle 18 fate in modo che la prole al completo sia dai nonni. Voi vi preparate per bene e con calma in una casa deserta (vi sembrerà impossibile) facendovi belli come non mai, e poi uscite e andate in un posto carino, di quelli speciali dove non si va mai (suggerisco io se vuoi), fatevi un bel regalo!!! Errori come questo servono solo per chiarire meglio quello che si vuole. Avete la fortuna di poter recuperare quando volete. Non è una bella prospettiva? Uomo e donna in armonia. La forza e la dolcezza, lo Yin e lo Yang, modi diversi di definire due principi come il maschile e il femminile. È il tema di fondo che percorre trasversalmente la trama di Mulan II, cartone della Disney del 2004 che segue il già fortunato Mulan del 1998. Coloro che dovranno conquistare il reciproco amore sono la principessa Mulan e il generale Shang. L’imperatore li perché scortino le sue tre figlie, le Principesse Mei, Ting Ting e Sue, attraverso la Cina e si sposino con tre principi del Qui Gong, così che tra i due paesi si formi un'alleanza. Il cartone si snoda quindi tra l’amore e il conflitto dei protagonisti – il tutto naturalmente condito da una buona dose di ironia – e l’invaghimento che nasce tra le tre principesse ed i soldati che le scortano. Il film quindi è motivo di riflessione anche sui matrimoni combinati, la lealtà, le relazioni di coppia, la responsabilità delle proprie scelte. Insomma, cartone da godersi con i più piccini, ma i grandi nel frattempo possono leggerlo anche a livelli più profondi. This is your new blog post. Click here and start typing, or drag in elements from the top bar.
Ciao Marco, vorrei un consiglio su come uscire da un vicolo cieco: 8 anni fa ho scoperto che mio marito è andato un paio di volte a prostitute appena ci siamo sposati. Ho sofferto moltissimo, abbiamo cercato aiuto. Dopo qualche anno ho scoperto che andava a visitare siti pornografici. Lui ha chiesto scusa, mi ha giurato che non l’avrebbe più fatto. Poi qualche mese fa ho scoperto che “chattava” con una ragazza in modo un po’ provocante... Io credo nell’indissolubilità del matrimonio, credo nel perdono, ma non riesco a perdonargli la sua falsità, infedeltà e scorrettezza. Il tempo non guarisce nulla. Non ho fiducia in un uomo che mi ha tradito e che ancora oggi a volte mi nasconde delle cose. Lettera anonima Carissima, quanto dolore! Soffri e hai il coraggio di chiedere aiuto, lui persiste, credi nel matrimonio ma senti che il tempo non guarisce nulla: ecco il vicolo cieco. Quello che è successo è molto grave, e non è facile lenire ferite così profonde. Anche tuo marito, che commette questi errori, evidentemente si porta dentro delle sofferenze molto profonde. Andare a prostitute intorno al matrimonio, rifugiarsi nel mondo virtuale, è segno di una grande fragilità interna, della paura di perdersi in un rapporto maturo e responsabile. Probabilmente non si sente all’altezza, si sente debole, si sente giudicato.
Il terreno è quello sessuale, luogo dell’intimità per eccellenza, dove non ci si può nascondere, luogo delicato perché ci mette a nudo. Luogo nel quale solo la tenerezza può salvare dalla paura di perdersi. I rapporti fugaci non hanno niente a che vedere con la relazione profonda, e quindi sono ricercati da chi ha paura di un rapporto troppo compromettente.La vostra coppia deve essere curata (nel senso di "prendersi cura") su più livelli. Probabilmente c’è bisogno di una terapia per lui, per uscire da questa dipendenza, che percome me la racconti assomiglia molto alle dipendenze dal gioco o da sostanze. Non sarebbe male integrare questa terapia personale con una di coppia, o un percorso comunque che vi aiuti a capire il senso della vostra relazione e ad esprimere in un contesto protetto il vostro grido di dolore. Ma soprattutto non potete esimervi da un percorso spirituale approfondito, perché a livelli così pesanti il perdono umano non basterà mai, e sarà necessario che possiate attingere alla fonte del perdono che solo Dio vi può dare. Trovate quindi uno psicologo o un consulente che vi possa accompagnare e che abbia anche una visione spirituale della persona. Poi, all’interno della Chiesa ci sono gruppi e sacerdoti che propongono percorsi approfonditi sul perdono, partendo dalla Parola, integrandola con gli aspetti psicologici della persona e della coppia. RICERCA DI RELAZIONI E DI SPIRITUALITA' Il sempre bellissimo Richard Gere è un ebreo studioso di religioni, padre perfetto in una famiglia perfetta: alto-borghesi, spirituali e molto uniti fra loro. Il figlio maggiore Aaron, sta seguendo le orme del padre. La più piccola in famiglia Eliza, di undici anni, invece ha un talento naturale per lo spelling, al punto di qualificarsi alle finali del torneo nazionale. Questo rende il padre cosi orgoglioso di lei, da farlo concentrare sulla figlia come non aveva mai fatto prima, togliendo attenzioni ad Aaron, e alla moglie Eliza. Parole d’Amore (Scott McGehee, David Siegel, 2005) è un film interessante per almeno un paio di livelli di lettura: il bisogno di ordine nelle relazioni familiari, e la ricerca della dimensione spirituale. Chi in maniera razionale (il padre), chi in maniera adolescenziale (il figlio Aron), chi tende all’esagerazione (Miriam) e chi riesce ad avvicinarsi a Dio con una relazione mistica (Eliza) che le darà la saggezza che gli adulti non avevano. VERITA' E CARITA', SENZA FALSI MORALISMI NE AVVENTATI RELATIVISMI Caro Marco, è facile parlare con sicurezza e dare consigli saggi e giusti quando si parla degli altri, ma quando le crisi familiari toccano da vicino, le nostre sicurezze si fanno incerte e si prova un profondo smarrimento. È quello che è successo a me, quando ho saputo della decisione di mio fratello di separarsi. Decisione lucida, ragionata, argomentata, che ha lasciato tutti a bocca aperta, e nessuno spazio al confronto. E così anch’io sono rimasto di stucco, con la tristezza di non avere la possibilità di fare nulla, con la consapevolezza che le scelte rimangono personali, discutibili ma non modificabili dall’esterno, e con la domanda di che cosa dovrebbe fare un uomo di fede in casi come questo. Rinunciare? Assillare il fratello? L’equilibrio non è facile da trovare, anche perché i rapporti tra noi sono sempre stati buoni. Cosa bisogna fare? Arrendersi e sentirsi un po’ responsabili? Insistere e sentirsi inopportuni? Grazie. Alessandro - Roma Hai ragione Alessandro, e non sappiamo cosa sia meglio fare. Un po’ come quando succede ai nostri migliori amici, solo che con i fratelli ci sono anche altre relazioni da tenere in equilibrio: il rapporto con gli altri fratelli, le cognate che si conoscono, i genitori da consolare, o che chiedono spie- gazioni imbarazzanti.
Sappi comunque che non sei solo. Intorno a te molti vivono con la stessa sensazione di impotenza questa delusione, e la Chiesa già da molti anni sta riflettendo sull’atteggiamento da tenere nei confronti di questi “fratelli”. I fratelli (in Cristo, e di sangue per te) «rimangono membri della Chiesa», ha affermato Giovanni Paolo II il 24 gennaio 1997 alla XIII Assemblea plenaria del Pontificio consiglio per la famiglia. E come la Chiesa anche tu, senza falsi moralismi né avventati relativismi, sei chiamato al difficile compito di coniugare due aspetti che caratterizzano il credente: la Verità che, come dicono i Vangeli, ci fa liberi (e la verità rispetto al matrimonio cristiano è che esso è unico, eterno e indissolubile) e la Carità, sull’esempio di Gesù che accoglieva tutti ed era comprensivo rispetto alle fragilità umane. Un lavoro difficile, una situazione complessa che va affrontata alla luce di una concezione integrale della persona. Bisogna allora evitare di cadere – suggerisce sempre la Chiesa – in riduzionismi quali lo psicologismo, che riduce tutto ad un problema di comunicazione, il moralismo che vede tutto in chiave di colpa ed errore da sanare, lo spiritualismo che confonde la pre- ghiera con una magia che da sola risolve tutto e la rassegnazione al dato di fatto e prospettiva di accoglienza senza conversione. Mi dici che il rapporto con tuo fratello è sempre stato buono. Bene, con la tua pazienza e compassione riuscirai sicuramente ad avvicinarlo e ad accompagnarlo umanamente in questo momento, senza che questo significhi rinunciare a ciò in cui credi. SE CERCHI APPROVAZIONE METTI IL CAPO SOTTO LA GHIGLIOTTINA DEL GIUDIZIO DELL'ALTRO Caro dott. Marco, il mio problema è questo: quando ho conosciuto mio marito era molto carino. Mi faceva complimenti per ogni cosa: per come mi vestivo come per i miei risultati sportivi. Poi gli anni passano, arrivano i figli, bisogna crescerli e la vita diventa sempre più dura. Pare che crescendo cali il carico familiare ma non è così. Diventano adolescenti, aumentano le discussioni, le preoccupazioni. E io sono sempre quella che sbaglia! La cena non è pronta, non va bene questo, non va bene quell’altro, non parlo nel modo giusto con i miei figli, li “diseduco”. Mio marito mi fa pesare ogni difetto. Non che sia cattivo, ma divento cattiva io e a volte esplodo. Mi prende l’angoscia ogni volta che torna a casa. Non so che fare, mi piacerebbe farmi una bella vacanza da sola, o separarmi. Le mie amiche non sposate mi paiono molto più serene... Non so che dire.
Clelia Carissima Clelia, sei spaventata per quello che ti sta succedendo, i pensieri si accavallano e cerchi una via d’uscita, anche estrema. Sei delusa da tuo marito e dalla tua relazione con lui. Perché? Semplice: perché ti eri illusa! Ogni illusione porta con sé il rischio – anzi la certezza – della delusione. È un’arma a doppio taglio, come cercare l’approvazione degli altri. Costruire una relazione sul bisogno di approvazione dell’altro significa mettere il capo sotto la ghigliottina del suo giudizio. E così è successo. Quando eri stimata ti sentivi felice, ora che vengono sottolineati aspetti che non ti piacciono ti senti attaccata. Guarda, qui non parliamo di tuo marito. Forse effettivamente è troppo brontolone, un po’ nevrotico, forse pure ingrato verso di te. Ma siccome sei stata tu a scrivere ti do alcuni spunti che ti possono essere utili a prescindere da lui. Allora, Clelia, prima di tutto chiediti perché in te c’è questo bisogno di approvazione. Che cosa devi dimostrare? A chi? Sei così anche nelle altre relazioni? Eri così anche con i tuoi genitori? Facevi sport per far vedere agli altri quanto valevi? Quando noi riceviamo una critica anche fastidiosa – tipo “non sai cucinare” – abbiamo due possibilità. O ci mettiamo ad analizzarla secondo il criterio vero/falso, e quindi cerchiamo di dimostrare che non è vero, o – se è vero – ci demoralizziamo. Oppure la interpretiamo come una proposta di relazione. Sicuramente poco carina ma è sempre una proposta. Watzlawick diceva che ogni comportamento è una forma di comunicazione. E allora prova a capire che cosa vuol dire tuo marito. E capire che magari lui si può sentire trascurato, o non capito, o frustrato. E non necessariamente la colpa è tua, non sei solo tu che devi cambiare il tipo di relazione. E nemmeno solo lui. Bisogna sempre essere in due per relazionarsi, in due per detestarsi, e in due per amarsi. SPESSO E' UNA LOTTA DI POTERE DECIDERE A CHI SPETTANO LE FACCENDE DOMESTICHE Caro Marco, ho ventitre anni e ho scelto di vivere in una casa famiglia. È un’esperienza entusiasmante che mi riempie il cuore e dà senso alla mia vita. Accogliere ragazzi in difficoltà, per periodi brevi o lunghi, condividerne la vita, mettere tutto questo in un’ottica di fede... Fantastico! C’è però un punto che mi piacerebbe chiarire, e non vorrei essere frainteso. Riguarda le faccende domestiche... Guarda, non sono un maschilista che pensa che le debbano fare solo le mie “sorelle” ma io le vivo con particolare insofferenza, e un po’ mi vergogno. Penso ai miei coetanei che studiano o lavorano, e io qua a fare i letti. Mi sento a disagio, la gente potrebbe pensare di me che non ho niente da fare, o che non sono abbastanza uomo. Mi chiedo se non sarebbe meglio che io andassi a lavorare. D’altronde tutti i papà lavorano... Ah, qualche giorno fa ho parlato con un altro che vive in casa famiglia con sua moglie. Lui è sposato ma... non è che la faccenda la vede tanto diversamente da me!
Pietro - da e-mail Caro Pietro, molti di coloro che fanno la tua esperienza hanno gli stessi tuoi pensieri: «Vivere in casa-famiglia? Bello, originale, spiritualmente appagante, ma... non starei meglio se potessi anche lavorare? » È una domanda sana, semplice, ma che richiede una risposta un po’ articolata. Bisogna infatti tenere conto di almeno due piani: il primo è il piano – definiamo- lo – sociologico. Tutti gli uomini lavorano, siamo stati giustamente educati al fatto che bisogna lavorare (anche San Paolo ricorda che “chi non vuol lavorare, neppure mangi”), e se non lo facciamo ci sentiamo pesci fuor d’acqua. È una questione di modelli. Il modello del “maschio lavoratore” è ben presente, per quello del “papà di casa famiglia” bisognerà aspettare. E chi vive in casa-famiglia in realtà non è che non “lavori”. Il secondo aspetto – non completamente slegato dal primo – è quello più legato al genere, al tuo essere maschio. È acquisizione ormai comune che le donne e gli uomini vivano la casa in maniera differente. Non che per questo svolgano con allegria le faccende domestiche, anzi! In genere sono una seccatura per entrambi in sessi, e spesso è la lotta di potere che determina chi le svolgerà. Ma non è questo il punto. La vera differenza sta in come si vive la casa. Per le donne la casa è una specie di prolungamento di sé, è un ambiente che deve essere in armonia, e per questo ci tengono di più al fatto che sia bello, accogliente, di un ordine che riflette un ordine interiore. Per un uomo in genere la casa ha un valore funzionale: è il posto dove si mangia, si dorme, si sta insieme. Se faccio i lavori, per esempio di giardinaggio (guarda caso: all’esterno!) li faccio per avere la soddisfazione di vedere quanto sono abile. Tenuto conto di queste differenze – caro Pietro – non ti resta che discutere insieme alle persone che vivono con te – tenendo conto delle necessità delle persone che avete accolto – gli spazi e i tempi per vivere le faccende domestiche e un eventuale lavoro esterno. Ma che sia una crescita di tutti, della vostra famiglia, non una fuga! MOLTI CHIEDONO UNA CONSULENZA, MA CERCANO UN GIUDICE Gentile dottore, le confesso a volte non ne posso proprio più! Ho organizzato una cena con mia madre e i miei fratelli, tutti sposati, e mio marito mi ha riempito la testa con un sacco di discorsi inutili: «Ma che bisogno c’è? Che cosa vi dovete dire che io non posso sentire? Guarda che la tua famiglia adesso è questa...». È sempre stato un tipo possessivo ed ho dovuto spesso sopportare le sue inutili gelosie. Ma – cavoli – qui si tratta dei miei fratelli, non ho mica l’amante. È un po’ una rimpatriata, lo stare insieme tra noi con la mamma creando un clima di intimità che non si crea quando ci sono le famiglie e i figli di tutti. Che ci sarà di male?
Nella - Udine Che ci sarà di male? Niente Nella. Sicuramente non c’è niente di male. E allora diciamo che tuo marito è esagerato e che tu hai ragione. Ok? E adesso ti chiedo come ti senti. Sollevata? Finalmente qualcuno che ti dà ragione? Che ti capisce? O ancora più arrabbiata? Il vostro è lo stato d’animo di molte persone che credono di chiedere una consulenza e invece cercano un giudice. «Avrò ragione io o avrai ragione tu? Quando andiamo dal dottore vedrai cosa gli dico e come te le canta! » In realtà si cerca qualcuno che dia senso alla sofferenza del non capirsi. Che cosa significa che tuo marito è sempre stato possessivo? Che ti vuole tutta per sé? Quest’ultima definizione penso che possa piacerti di più, è molto roman- tica. In realtà stiamo parlando di insicurezza, probabilmente dovuta ad una storia molto antica che non ti riguarda, ma che adesso riemerge nell’assetto relazionale della vostra coppia. Che fare allora? Se questo fatto scatena dei sintomi come scenate incontrollate, notti insonni o rancori che durano più giorni vi invito ad intraprendere un percorso con uno specialista che vi potrà aiutare a dare un senso e a lenire le vostre sofferenze. Se invece il problema ha un impatto più contenuto gli puoi chiedere di spiegarti cosa gli dà dispiacere, ma mossa da una curiosità sincera. Questo lo farà sentire capito, e a quel punto il problema sarà già metà risolto. Non attaccarlo per le sue debolezze, perché altrimenti potrebbe irrigidirsi maggiormente, ma spiegagli con calma il significato che per te ha ricongiungerti un po’ con la tua famiglia. A proposito Nella, non è che per caso esci con la tua famiglia e ma- gari per lui non hai mai tempo? Non è che quando chiama lui sbuffi e quando chiamano i tuoi familiari sei raggiante? Perché se ho indovinato con queste due ultime domande... la strada da prendere la capisci anche da sola. E vedrai che non ci vorrà molto a mettere tutto a posto! EMPATIA E' L'ESATTO CONTRARIO DI UN ATTEGGIAMENTO DI DEBOLEZZA Caro Marco, il mese scorso, rispondendo alla nostra lettera, ci hai detto che le soluzioni reciproche ai nostri bisogni vanno trovate attraverso “un percorso empatico, non tecnico”. Non ci crederai ma io e mia moglie siamo riusciti ad aver da ridire anche sull’interpretazione delle tue parole. Che cosa significa “essere empatici”? Noi l’abbiamo interpretato come “darci ragione” e quindi, in qualche maniera, che ognuno deve cedere. Questo ci ha molto irritati. Vuol dire che ci dobbiamo bere ogni cosa che l’altro/a ci dice? Scusa se siamo un po’ contorti o se ci siamo spiegati male.
Lino - via mail Lino hai ragione! Frasi corte e semplici per affrontare temi delicati e complessi rischiano di diventare slogan incomprensibili. E allora sviluppiamo un po’ il tema dell’empatia, ed in particolare parliamo di che cosa significa essere empatici verso il coniuge nel corso di una discussione. L’empatia – definizione da enciclopedia – è la capacità di riconoscere i pensieri e le emozioni degli altri e di reagire con sentimenti consoni. È quello che con parole più semplici si dice “mettersi nei panni dell’altro”. Empatia – suvvia ragazzi – non significa assolutamente “darla vinta” ed è l’esatto contrario di un atteggiamento di debolezza. Solo chi è forte infatti riesce, nel corso di una discussione che lo coinvolge, a mettere un attimo da parte la sua posizione e a prendere in considerazione i sentimenti e i bisogni altrui. Ciò che la muove è il rispetto e la curiosità. Il rispetto è verso la persona che ho di fronte, che ho scelto di amare “sempre, nella salute e nella malattia” e quindi – perché no – anche quando la pensa diversamente da me. La curiosità deve essere sincera. Ognuno si chieda dentro di sé: «Ma perché lui la vede così? Perché reagisce in quella maniera? Quali sono le sue paure? I suoi bisogni?» È un modo stupendo per interrogarsi sul mistero che il coniuge ogni giorno ci offre. E un ottimo modo per avere sempre qualcosa da scoprire. Quanti sposi si inaridiscono perché “non hanno più niente da dirsi”. Quando si parla sempre delle solite cose, o quando alla fine non si parla più, è perché si è rinunciato al dialogo profondo. «Sono fatto così, sono fatta così» è un veleno terribile che rinsecchisce la creatività. L’immagine che ci si è creati diventa la maschera e la prigione. Liberatevi, Lino, di queste catene e tuffatevi nel mare di libertà che potete donarvi. Amare la persona per quello che è, capirla, non è accontentarsi ma scegliere di incamminarsi in un viaggio avventuroso ed infinito. |
AUTOREMarco Scarmagnani CATEGORIE ARTICOLI
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