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IL FILM: 3MSC

2/2/2011

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3msc

T
re metri sopra il cielo (Lucini, 2004), Scamarcio ha uno sguardo magnetico che fa impazzire ragazzine e madri. È la storia degli opposti che si attraggono. Babi è la studentessa modello e Step il ragazzaccio che vive di risse e gare clandestine.

Ma gli opposti troppo opposti si attraggono pericolosamente, fino al triste epilogo: «Non ce la faccio più, non si può mai essere felici con te», dice lei, e lui replica «Non sei felice con me? Che vuoi dire? Che non ti ho dato niente? Questo vuoi dire?». E Babi: «Per un minuto ti senti in paradiso con te, però l’attimo dopo è l’inferno». La seduzione dell’eccesso: se la conosci, la eviti.

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SOS: TEMPI DI COPPIA

1/2/2011

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QUANDO NON SI TROVANO LE SOLUZIONI E' PER PIGRIZIA.

Ciao Marco, sono la mamma contenta di 3 maschietti di 6 anni e mezzo, 2 anni e mezzo e 7 mesi. Ho iniziato a leggere “Nel cuore della famiglia” e ho già incontrato un passo che mi ha colpita e continua a ronzarmi in testa: è la sottolineatura che per essere buoni genitori bisogna essere buoni coniugi. La condivido in pieno ma, considerato il poco, pochissimo tempo che resta per coltivare il bene “coppia” avrei bisogno di qualche suggerimento per ottimizzare le risorse disponibili. Ho letto le indicazioni che don Oreste dà nella risposta a Chiara ma mi ritrovo solo in parte... Grazie in anticipo!

Loretta

Loretta che cucciolata! Ci credo che facciate fatica a trovare i vostri tempi e spazi, poi con il piccolino di 7 mesi! Ora, in “Nel cuore della famiglia” don Oreste ti dà delle chiarissime linee di principio per tenere vivo il vostro matrimonio. Assolutamente sagge e condivisibili. «Quando mi chiedono che cosa occorre per essere un buon papà, rispondo che bisogna essere un buon marito. Quando mi chiedono cosa occorre per essere una buona mamma, rispondo che bisogna essere un buona moglie. Se uno non è un buon marito, non sarà mai un buon papà e non educherà mai bene i suoi figli. Il padre deve valorizzare la funzione della madre e la madre quella del padre» (pag. 55).

Ma tu dici: certo, sono d’accordo, ma nella pratica? Come si fa quando il marito rientra a casa e non ha voglia per nessuno? E quando io sono isterica per una giornata passata con i miei “deliziosi” bambini? E quando non si fa una notte senza interruzione da mesi? Né un pranzo o una cena senza doversi alzare col boccone in bocca per rincorrere qualcuno?

Questo sfiancherebbe anche la coppia più affiatata.

Eccoti allora qualche dritta pratica: 


1. Cenetta romantica senza prole, durante la quale è vietato parlare di figli. E chi li tiene? Semplice, i nonni, la sorella, una cugina grande, la baby sitter. Le soluzioni si trovano, e costano tutte meno di un avvocato. Se non si cercano è pigrizia. 

2. Non si può a cena? Bene, uscite il sabato pomeriggio (o state a casa soli senza figli che può essere anche meglio). I vostri cuccioli possono andare da una famiglia amica, a giocare con i loro amichetti. Poi voi ricambierete il favore.

3. Pausa pranzo. Quando cominciano ad andare all’asilo è fantastica! Si è ancora decentemente svegli e la luce rende più gioiosi. Pare di essere fidanzati! Anzi, amanti! Ti basta? La coppia è fatta di momenti e di esperienze insieme. Meno ne fate, meno ne fareste.


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MIO MARITO MI PICCHIA

1/2/2011

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MA COME HO FATTO A CACCIARMI IN UNA SITUAZIONE DEL GENERE? EPPURE LO SAPEVO!

Mi chiamo Federica e ho 40 anni. Da dieci anni sono sposata e ho due figli. Mio marito fin dall’inizio del matrimonio si è manifestato burbero e irascibile ma ho sempre pensato che, crescendo la nostra famiglia, sarebbe cambiato. Invece negli ultimi due anni è diventato anche violento. Sicuramente i cambiamenti nel suo lavoro - è camionista e spesso rimane fuori città - lo hanno portato ad essere sempre più aggressivo ma quando mi picchia non riesco più a vedere niente di buono in lui. Un’associazione mi ha proposto di denunciarlo e scappare di casa con i miei figli per ritrovare la mia dignità, ma io sono sempre molto incerta di fronte a questa proposta perché è vero che voglio essere serena e ritrovare la pace ma non da sola. Credo infatti fermamente che il matrimonio è indissolubile e che il Signore ci ha voluti insieme. Forse dovrei cambiare io, darmi da fare di più come moglie e come madre, sostenendolo in tutte le sue fatiche personali, cercando di tenere a tutti i costi unita la famiglia. Cosa mi suggerisce?

Cara Federica, la tua situazione – purtroppo – è comune a quella di molte, troppe donne. Anzi, di molte, troppe famiglie.

Perché se è vero, come dici tu, che il Signore vi ha voluti insieme, è altrettanto vero che desidera per voi una vita in pienezza. La disillusione e la tristezza – in certi momenti – fanno parte della vita coniugale. Invece ora due alternative strazianti stanno davanti a te: lascio mio marito ma spezzo un legame che sento “per sempre”, o subisco “per il bene della famiglia” in attesa di un cambiamento che so che non avverrà mai. Nel primo caso nessuno potrà darmi torto, ma devo fare i conti con la mia coscienza, nel secondo caso sono destinata ad una vita infelice che probabilmente contagerà anche i miei figli.

«Forse dovrei cambiare io?» dici, suscitando sicuramente un balzo d’indignazione in molte donne che ti leggono. «Ma come? – penseranno – Sei stata così umiliata da non capire nemmeno dove sta il bene e dove sta il male? Chi picchia è un animale e non merita nessuna scusante!»

In realtà la desolazione profonda in te è quella con la quale ti dici: «Ma come ho fatto a cacciarmi in una situazione del genere? Eppure lo sapevo!». E sarai arrivata ad odiarti molto per questo.

Ora, se tuo marito è completamente fuori di sé e ritieni che stai rischiando per la tua incolumità, ti conviene effetti- vamente cercare protezione e poi decidere cosa fare, con l’aiuto di personale competente.

Ma se, come nella maggior parte dei casi, non vivi nel terrore e la violenza è episodica e contenuta, rivolgiti ad un consultorio o ad un professionista e fatti aiutare.

Ti sapranno consigliare l’opportunità, i modi e i tempi con i quali coinvolgere tuo marito. Non sarà facile, ma avrete la possibilità di farcela.

Affrettati Federica, ogni giorno passato è un giorno perso. Solo in questo devi cambiare, nella risolutezza ad avviare il cambiamento. Coraggio!
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IL FILM: SCENE DA UN MATRIMONIO

1/2/2011

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È un vecchissimo film di Bergman (1973) per nulla facile da vedere ma assolutamente efficace nel cogliere il rapporto paradossale tra un rapporto simbiotico, la complicità nella menzogna, l’impossibilità di slegarsi e la violenza che ne consegue. Il regista – come suo stile – indugia quasi morbosamente nelle pieghe e nelle contraddizioni di un matrimonio apparentemente perfetto, realmente opprimente. Un pugno nello stomaco, ma vale la pena vederlo. Da evitare di vedere con i bambini e da non considerare per una bella seratina con il partner.

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"IO" NON MI SENTO CAPITO!

1/2/2011

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ANCHE QUELLE CHE CONSIDERATE BANALITA', VI DARANNO INFORMAZIONI PREZIOSE PER CAPIRVI.

Caro Marco, nella tua rubrica, come in molte simili di altri giornali, si sente spesso la solita solfa: «Mio marito non mi ascolta, io non mi sento capita», le donne sensibili, empatiche, e i maschi un po’ orsi che hanno bisogno di un corso di formazione alla comunicazione. Beh, con tutto rispetto, non è che le cose siano sempre così. Io sono sposato – tra alti e bassi – da 15 anni e spesso mi è capitato di non sentirmi capito da mia moglie. Penso che queste grandi esperte di relazione, dovrebbero fare qualche sforzetto per capire che noi uomini non siamo come loro. I temi sono diversi, ma la capacità di ascolto e di comprensione dovrebbe essere di entrambi. Il bisogno di gareggiare e fare sport, la voglia di uscire con gli amici, i film d’azione, l’impegno sociale... insomma, come si può far capire che non è che i loro sono bisogni e i nostri sono capricci. Mi pare che i consulenti siano un po’ sbilanciati. Grazie.

Antonio


C’è un po’ di rancore nella tua interessante riflessione, Antonio, qualche rospetto di troppo che ti pare di avere ingoiato. Tutto in buona fede, pare.

Passano gli anni, cerchi di essere comprensivo del mondo di lei, e non sempre ci riesci. Poi avanzi richieste “banali” e ricevi picche! Ma come? Non posso bermi una birra in compagnia? Non possiamo guardare insieme “007 “o la “Trilogia di Jason Bourne”? Non posso buttarmi a capofitto nell’organizzazione di una manifestazione del paese dove tutti mi diranno che sono bravo? Sì, hai ragione, potrem- mo considerarli il corrispettivo maschile rispettivamente delle lunghe telefonate con le amiche a parlar di tutto, della visione dei “Ponti di Madison County” o della passeggiata al parco durante la quale tutti dicono a lei: «Ma sono suoi questi bei bambini? Che brava mamma!».

Piccole grandi soddisfazioni al maschile e al femminile. Che dire, Antonio? Non mi resta che convenire con te, anche per ovvie ragioni di alleanza maschile, e perché dici che siamo sbilanciati...

Ricordate però una cosa semplice: il rapporto a due non è un gioco a somma zero. Avete capito che basare la vostra felicità (solo) su reci- proche concessioni vi lascerà sempre insoddisfatti. L’animo umano è appagato dalla relazione profonda. Vi pare difficile quando si è così diversi? Provate allora a stupirvi della vostra diversità. Provate ad immergervi nel mistero delle differenze. «Ma che cosa ci troverà nel parlare con le amiche?».

«Ma che ci sarà di intelligente nel parlare di calcio davanti ad una birra?». Provate a volgere la vostra attenzione non tanto al vostro disappunto quanto alle sfumature dell’umore dell’altro. È più felice? Meno? È deluso? È confusa? E non dite: «Ma le cose importanti della vita sono altre». Vedrete che anche quelle che considerate banalità come quelle che vi ho citato vi daranno informazioni pre- ziose per capirvi. Comincia pure tu, è un bell’esercizio anche da fare da soli.
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VITA DA GENERO

1/2/2011

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IL SI CHE AVETE DETTO IL GIORNO DEL MATRIMONIO ERA SOLO L'INIZIO.

Dottore vengo subito al dunque: non che in linea di principio io sia contrario a vivere con mia suocera ma, dopo 8 anni sento di essere in una condizione molto pericolosa.

Mia moglie fa una specie di comunella con lei e io mi sento proprio tagliato fuori. Il problema è che una volta mi arrabbiavo, adesso non più. Le vedo lì, a parlare delle loro cose e a decidere anche della mia vita. Sembrano sorelle: stessa parrucchiera, stesso taglio di capelli, a volte addirittura si scambiano i vestiti. È una cosa che proprio mi urta.
Comunque, in breve, io per mia moglie non provo più nulla e sto seriamente pensando di lasciarla. Contenta lei, visto che con la mamma sta tanto bene...
Ma ho qualcosa che mi rode, che non riesco a definire bene.


Roberto via e-mail


Cos’è che rode? La rabbia di aver sprecato tutti questi anni? La delusione di non aver trovato una via di accesso verso tua moglie? La frustrazione di sentirti un po’ passivo in tutta questa storia? O è forse il sentimento sconcertante di buio rispetto al vostro futuro?

La tua mail, Roberto, sembra il grido di una persona imprigionata: non c’è futuro, non c’è speranza, non c’è progetto. Pure la spinta propulsiva della rabbia ti ha la- sciato.

Queste due donne con un rapporto così potente ti spaventano e ti hanno bloccato. Come mai? È stato così fin dall’inizio o siete scivolati piano piano in questa situazione?

Dalla tua lettera non si capisce. Si scorgono solamente dei tentativi che probabilmente sono stati o troppo timidi o impulsivi. È così, Roberto, non sei ancora entrato nel cuore di tua moglie e quindi preferisci mollare. Eppure, anche in questo momento così buio, tua moglie ha bisogno di te. 
Il rapporto tra madre e figlia è molto forte e alcuni sostengono che non si risolva mai del tutto. Solo nell’evolversi delle storie familiari può trovare il giusto senso e la giusta dimensione, quando la coppia, la coniuga- lità, riesce a dare quel senso di pienezza e di completezza che permette di gettarsi in un progetto a due, che tiene conto dei propri genitori ma che è chiamato a costruire qualcosa di nuovo.

Ti consiglio di rivolgerti ad uno psicologo o ad un consulente che ti possa aiutare perché probabilmente quello che stai vivendo non dipende solo dalla tua vita ma- trimoniale. Anzi, può essere l’occasione perché tu possa prendere in mano alcuni nodi non risolti della tua storia.

Io penso che tu debba fare una scelta adulta, consapevole, responsabile. Tu e tua moglie vi siete scelti, ma il sì che avete detto nel giorno del matrimonio era solo l’inizio e l’impegno di un sì quotidiano per il futuro. Quando uno è più debole, l’altro lo dica più forte. Nel tuo caso, se senti che tua moglie è più sposata alla mamma che a te, chiamala con coraggio, come un cavaliere dall’armatura scintillante che riconquista la sua dama. Vedrai, te ne sarà grata.
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TESTIMONE DI CHE?

1/2/2011

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LIBERATI DA QUESTE  CATENE E PRENDITI A CUORE LA RELAZIONE DI CUI SEI TESTIMONE


Caro Marco, una coppia di nostri amici, sposati da circa tre anni, sono molto in difficoltà. Non che ce lo abbiano detto chiaramente, ma si vede dai loro atteggiamenti, si sente nell’aria una forte tensione quando andiamo a trovarli, si fanno certe frecciate! Io e mio marito ci sentiamo un po’ responsabili perché siamo stati i loro testimoni di nozze, e ci chiediamo spesso che cosa possiamo fare. Siamo però inchiodati perché non vorremmo essere invadenti. Quando abbiamo avuto delle difficoltà noi, una decina di anni fa, i nostri testimoni proprio non si sono preoccupati di noi, e ci siamo dovuti arrangiare. Magari ci avrebbe fatto piacere un interessamento. Ci chiediamo qual è il ruolo dei testimoni. Solo quello di presenziare alle nozze o qualcosa in più? Se ci puoi dare una mano... grazie.

Yvonne



Cara Yvonne, la prima cosa che ti dico è che un sacerdote, un esperto di pastorale, sapranno sicuramente darti parole sagge e consigli illuminanti per vivere questo aspetto della vostra Fede.

Per quanto riguarda le relazioni io ti posso invece parlare della bellezza di avere persone che si prendono cura di una coppia. Non professionisti, ma coppie a loro volta con gli stessi doni, le stesse trepidazioni, le stesse paure.

Le coppie, le famiglie, possono essere tra loro un grande dono reciproco. Allora ti chiedo: ti è mai capitato di andare a cena con tuo marito da una coppia di amici, partire con il muso e tornare rilassati? Perché? Forse perché vi hanno fatto una consulenza o una psicoterapia? No, semplicemente per il fatto di essere stati insieme. Ti è mai capitato di avere problemi con i tuoi figli, che ti sembrassero insopportabili, e poi, dopo aver passato un pomeriggio assieme ad un gruppo di famiglie con i figli di tutti, sentirti mamma più di prima? Condividere la vita con altri che vivono l’avventura della famiglia è la più grande medicina per curare le relazioni. Non siamo abituati: la privacy, la riservatezza, una errata convinzione che il buon senso dica di farsi gli affari propri. Ci convinciamo che ognuno stia meglio a vivere inscatolato tra le quattro mura della sua casa, che diventano prigione se non c’è scambio con gli altri. Guarda poi che cosa carina mi scrivi: ti senti in imbarazzo a tendere la tua mano alla coppia di cui siete testimoni, quando hai sperimentato tu stessa il desiderio che qualcuno ti tendesse la mano. È proprio così che si fa a stare fermi: quando gli altri hanno bisogno non ci sembra opportuno immischiarci, quando abbiamo bisogno noi non ci sembra opportuno chiedere.

Yvonne, liberati da queste catene, prendi a cuore la relazione di cui siete testimoni. Vedrai che la tua sensibilità ti suggerirà la discrezione necessaria. Non servono tante parole, a volte basta un po’ di feeling ed intesa per far sentire la propria vicinanza.
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IL FILM: SEGRETI E BUGIE

1/2/2011

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Gran bel film di Mike Leigh del 1996, che si snoda in maniera sensibile e delicata tra i segreti di una fami- glia. Tutto parte da Hortense, donna borghese di colore che – alla morte della sua madre adottiva – si mette alla ricerca del suo passato. Si entra così in un castello di segreti e bugie che si teneva in piedi sull’incomprensione reciproca generando diffidenza e malessere. Il coraggio, ma anche l’umiltà e l’empatia di Maurice, fotografo sposato e senza figli, riuscirà in un lungo pranzo a svelare i segreti e a far riguadagnare la serenità a tutta la famiglia.

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SEDOTTI DAL PORTATILE

1/2/2011

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Buona notte (scrivo questa email alle 2). La scena è questa più o meno ogni sera, dopo cena, io porto a letto i bambini e mia moglie sistema la cucina. Quando torno lei è al portatile e sta chattando con le sue amiche dal divano... Allora io apro il mio e mi metto in studio. Sistemo le fatture, guardo lo sport, e poi qualche ricerca “professionale”... faccio il rappresentante e allora vedere come lavorano i concorrenti, quali i nuovi prodotti sul mercato... insomma il tempo passa... e come quasi tutte le notti mia moglie si addormenta sul divano e io vado a letto da solo per essere raggiunto chissà quando... beh, almento non ci sono problemi di gravidanze indesiderate.

Caro navigatore notturno, l'ironia non ti manca ma ti rendi conto che la situazione non può andare avanti così.
Se ti può (relativamente) consolare, sei in buona compagnia. 
Il boom degli ultimi anni dei social network, di Facebook, di Skype e di blog su ogni argomento hanno fatto impennare il numero degli internet-dipendenti.
A portata di notebook, comodi e a costi irrisori, si può avere la sensazione di essere collegati al mondo intero. Cerchi un film? Ce l’hai. Vuoi parlare con un tuo amico? Vedi se è in linea! Vuoi far sapere cosa stai facendo? Vedere a quante altre persone che conosci piacciono le tue stesse cose? Niente di più facile.
Come si fa a stupirsi se cotanta informazione alla fine ubriaca? Viviamo – si dice – nell’era dell’informazione. Chi è più informato vince, chi sa più cose o sa meglio dove trovarle è in anticipo, chi riesce a far rete, ad avere più contatti si sente... meno solo.
Eh sì, e qui si scivola. Da che cosa si riconosce la dipendenza? Dal fatto che continui a controllare le email giorno e notte, magari facendotele anche notificare sul cellulare per non perdere un minuto, o che diventi triste quando nessuno ti scrive, o nessuno posta qualcosa sulla bacheca di FB. E allora cala la tristezza. Sì, perché nel frattempo ti sei perso i legami con le persone che più ti stanno vicine. Alla fine è più facile scrivere via chat, magari intavolando serie discussioni (tanto poi si chiude) che iniziare un discorso con la moglie... quello può sembrare più rischioso. Beh, hai ragione: quando si perde l’abitudine al dialogo, ogni scambio diventa potenzialmente pericoloso, perché non ci si ricorda più come si fa... o si cova un rancore nascosto.

«Sei tu che vuoi sempre stare davanti al pc». «No, sei tu, ti ho chiamato anche mezzora fa». «... ma io non ti ho sentito!». Prescrizione molto semplice. Prima settimana una sera senza computer, seconda due, e via così. Ah, non ti spaventare se le prime volte non è facile ;-)
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MIA MOGLIE E' MATTA?

1/2/2011

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Le chiedo come affrontare un problema che non mi sta facendo dormire la notte. La primavera scorsa a mia moglie hanno cominciato a venire dapprima giramenti di testa e abbiamo pensato alla stanchezza, poi tremori, sudore, tachicardia. Pensavamo a qualche malattia ma il nostro medico, dopo aver fatto degli accertamenti, ci ha detto che si tratta di “Attacchi di panico” e le ha prescritto degli psicofarmaci. Ci ha detto di stare tranquilli ma la nostra vita è cambiata. Ogni volta che usciamo c’è il terrore che possa avere un attacco, anche davanti ai bambini. Io le dico di reagire e lei mi dice che la tratto come una matta, o una malata di mente. Mi pare una strada senza uscita! 

Rino - Padova


Attacco di panico, matta, ansia, malata di mente, sono termini che si fondono e si confondono nelle persone e nelle reti familiari.
Ha fatto bene il tuo medico a rassicurarvi, se non altro perché gli attacchi di panico interessano sempre più persone. L’attacco di panico è molto invalidante perché chi lo vive ha la sensazione di perdere il controllo, e vive nel terrore dell’attesa del successivo attacco. Se è vero che è diffuso, è anche vero che non va banalizzato. Per questo vi consiglio – se lo ritenete – di fare un passaggio anche da uno psichiatra che potrà valutare più attentamente la necessità del trattamento farmacologico e potrà mirarlo in maniera più adeguata al disturbo, e alle caratteristiche personali di tua moglie.
Accanto a questo non sarebbe male abbinare un supporto personale, perché solitamente i farmaci sono piuttosto efficaci, ma non eliminano le cause che hanno condotto all’esordio del sintomo. Potrebbero essere delle difficoltà personali irrisolte, o una condotta di vita troppo stressante, o una scarsa propensione a prendersi cura di se, perchè magari oberati dalla cura dei figli.Come vivere questo tempo? Innanzitutto considerandolo come un dono, accogliendolo. Il panico è un sintomo, e il sintomo è segno di qualcosa che forse non si voleva ve- dere. Come ti dicevo, potrebbe essere l’occasione per rinforzare il rapporto tra di voi che magari era un po’ al- lentato, o perché tua moglie si decida finalmente a prendersi dei tempi suoi, di ricarica fisica, psichica o spirituale. Che lei ti provochi e ti chieda implicitamente se la consideri “matta” è comprensibile. Anche lei ha molta paura e ti chiede chi è adesso per te.
Non cadere nella trappola di considerarla “malata di mente” nel senso spregiativo del termine. La patologia è prima di tutto un patire, un pathos, un soffrire che ci ricorda la nostra condizione umana.

Questo non ci impedisce di amare, come abbiamo promesso, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella ma- lattia.
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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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