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SESSO TRA FIDANZATI

23/12/2010

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CHE COS'E' PER TE UN RAPPORTO? L'ESPRESSIONE INEQUIVOCABILE CHE C'E' AMORE?

Carissimo Marco, ho 34 anni, sono fidanzata con un ragazzo con il quale abbiamo in mente di sposarci. Seguo un cammino di formazione cristiana e mi confronto con altre coppie di fidanzati. Il fatto dei rapporti prematrimoniali, che la Chiesa non li permetta, che don Oreste fosse così categorico, proprio non mi va giù. Molti portano argomentazioni, anche valide, ma io, e con me molti altri giovani che conosco, continuo a non essere convinta. Alcune mie amiche lo fanno senza darsi troppi problemi. Non mi paiono così disperate. Che ci sarà poi di così male? Un conto è che si dica cosa non fare a dei ragazzini di 14 anni, un conto alla nostra età... non ti pare?

Francesca

«I rapporti prematrimoniali sono la tomba dell’amore». Don Oreste non aveva dubbi, e lo ha ribadito a chiare lettere anche nell’ultimo libro “Nel cuore della famiglia” che ti invito a leggere, magari con il tuo fidanzato. Capisco, Francesca, che possa dare un po’ fastidio una dichiarazione così netta ma, a fronte dei maestri del compromesso che su ogni argomento lasciano nella nebbia dell’inde- terminatezza, bisogna ammettere che può far piacere uno che dice con chiarezza quello che pensa. Hai un’età per cui non ti serve certo un altro che ti dica quello che devi fare. Cercherò solo di darti qualche spunto sul quale riflettere.
E allora, banalmente, che cos’è per te un “rapporto”?
È l’espressione inequivocabile che c’è amore? È l’apice di una relazione fisica che parte dalla stretta di mano, passa dal bacio più o meno profondo, arriva al coito? Una curiosità da soddisfare? Forse sono tutte queste cose messe insieme, forse ancora di più.
E per il tuo ragazzo? Il lasciarsi andare all’appagamento di un desiderio appas- sionato? Una prova d’amore? Potresti chiederglielo.
«Tutte belle cose. E allora perché non farlo? Perché non portarsi avanti?», chiedono molti a questo punto con un pizzico di ironia.
Perché, da un punto di vista psichico, c’è uno scollamento profondo tra il livello di maturità della vostra relazione di fidanzati e il livello di coinvolgimento nel quale un rapporto completo vi immerge. Più tecnicamente, l’atteggiamento fusionale tipico del fidanzamento non vi permetterebbe di riuscire a rimanere completamente voi stessi donandovi senza disperdervi nell’altro. Capacità che – si dice – in genere avviene dopo circa un paio di decenni con un partner stabile. Il rapporto, infatti, è un percorso di crescita e di affidamento reciproco, tanto più significativo quanto più la relazione è sancita e stabilizzata, pur nella limitatezza della nostra condizione umana.
«Perché non cominciare a fare sesso allora?», ti chiederai. «Perché non aspettare?», ti rispondo io, Francesca. Ricordati che il desiderio illumina l’orizzonte.


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SUL TRATTORE NON RECITO POESIE

23/12/2010

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PERCHE' A SCUOLA CERTE MATERIE NON SONO INTERESSANTI? E' SOLO UN PROBLEMA DEI RAGAZZI O DOVREMO PENSARE A NUOVI MODI PER COLLEGARLE A CIO' CHE VIVONO?

Questo mese lo spunto per la rubrica viene da una recente esperienza nelle classi seconde di un istituto professionale di agraria; un percorso per la prevenzione delle dipendenze che ci ha portati a contatto con decine di adolescenti più o meno vivaci, più o meno pittoreschi.
Diffidenza, provocazioni e poi squarci del loro mondo interiore, inizialmente intercalati da qualche battuta con la quale il comico di turno otteneva una risata fragorosa. La destrutturazione dell’ambiente classe, il cerchio di sedie ha favorito un reciproco avvicinamento. Tema del secondo incontro, il rapporto con il mondo degli adulti: genitori, insegnanti, ma anche altre figure come gli allenatori del- le squadre di calcio e i fratelli maggiori.
In una classe in particolare le due ore a disposizione sono state quasi interamente impiegate a discutere sul loro rapporto con gli insegnanti. L’atteggiamento iniziale era più che scontato – ci siamo passati tutti – e cioè che i pro- fessori non capiscono un tubo, sono troppo severi, sono incomprensibili, se ne fregano, vengono solo per lo stipen- dio; non tutti, grazie a Dio! Ma una riflessione profonda è emersa in maniera chiara: lo scollamento tra le materie di in- segnamento e il mondo reale che vivono i ragazzi, come se i professori seguissero un clichè predefinito e avessero occhi e orecchi tappati. È un rischio che corrono anche i genitori.
E poi la frase che mi ha colpito per la carica adolescen- ziale di verità e umorismo che trasporta: «Oh, Marco,
senti... le poesie! Ma ti rendi conto? Proprio a noi!? Ma cosa vuoi che interessino le poesie a noi? Io mica che quando sono sul trattore ad arare dico le poesie alla terra!». L’ha pronunciata un diciottenne sveglio e vivace, più alto di me e dal fisico prestante.
Che fare allora? Forse le poesie le insegneremo solo ai liceali? Non penso proprio. Ma che insegnanti e genitori abbiano il dovere di interfacciare il sapere di cui sono portatori con la vita concreta dei ragazzi, questo sì, è un passaggio obbligato. Certo, necessita di lavoro, impegno. Ma sicuramente, se riuscirò a motivare, ad appassionare un giovane inizialmente disinteressato, significa che dentro di me è iniziato un percorso interiore per riappassionarmi, per rendere viva la materia che sto insegnando. Lo stesso vale anche per i genitori, quando devono proporre una regola. È necessario che riflettano su come adattarla allo stile comunicativo dei ragazzi, al loro mondo, senza con questo annacquarla.
Questo mi darà autorevolezza, mi renderà un adulto stimato, e mi preserverà dai rischi psicofisici connessi ad un lavoro – quello dell’insegnante come quello del genitore – così carico di responsabilità.


Tutti in piedi!

Entra il maestro

«È giusto che gli alunni abbiano rispetto nei confronti dei docenti», ha detto in clima elettorale Silvio Berlusconi e, fra i banchi, un ritorno alle buone maniere è anche «che gli studenti si alzino quando entra un insegnante». Non poteva mancare la replica dall’altro schieramento affidata a Dario Franceschini: «Non si può fare per decreto legge, ma alzarsi è una cosa intelligente e dovuta nei confronti degli insegnanti, che sono parte importante nella formazione di ognuno». C’è chi allora si è preso la briga di fare un son- daggio: FN&G ricerche, dice che per il 77% degli italiani gli alunni devono alzarsi davanti al maestro.

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IL CORAGGIO DI AVERE PAURA

23/12/2010

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IL PROBLEMA NON E' AVERE PAURA, MA TROVARE QUALCUNO CHE LA ACCOLGA.

Caro Marco, ho cinquant’anni, sono divorziata da 8 e recentemente mi sono innamorata di una persona che mi ricambia con tutto il cuore. A volte però mi sembra di boicottare la mia felicità, di essere ipercritica e andare a cercare in anticipo tutti i problemi che forse un giorno potrebbero eventualmente verificarsi... La domanda che ti pongo è: come si fa, quando le cicatrici delle precedenti esperienze si fanno sentire, a mettere da parte la paura? Come si fa ad investire e investirsi pienamente in un rapporto sapendo quanto può essere alto il rischio che non sia “per sempre”? (non so se questa lettera può essere pubblicata....ma se hai una risposta privata mi fa piacere lo stesso).
Tina – Mantova


"Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito» sono parole del Salmo 34 ma anche quelle con le quali il Cardinale Dionigi Tettamanzi ha voluto rivolgersi a chi vive situazioni simili alla tua. Pur ribadendo il valore sacramentale e l’indissolubilità del matrimonio, nessuna preclusione, nessun «giudizio sul valore affettivo» da parte della Chiesa, e nemmeno da parte nostra. Sgombrato quindi il campo dai legittimi dubbi in appendice alla tua lettera, Tina, non resta che imboccare la via dell’ascolto e rispondere a ciò che chiedi, perché ci offre interessanti spunti di riflessione. E allora, come si fa a mettere da parte la paura? Ti assicuro che questa domanda non se la fa solo chi ha
le “cicatrici”. Se la fanno quotidianamente mariti e mogli di ogni latitudine. E in genere, è risaputo, affrontano il problema in maniera differente: i mariti sottovalutano i problemi, le mogli li amplificano.
Cosa stia alla base di questo diverso comportamento è complesso da spiegare in poche righe, ma le strade da imboccare sono due. Una è quella della divergenza, della reciproca incomprensione, del «Mio marito non mi capisce, è insensibile» e «Mia moglie è insopportabile, è una lagna».
La seconda via è quella del lento, graduale, reciproco riconoscimento come dono. E allora, i medesimi co-
niugi, con identici problemi da affrontare, potranno dire «Che dono grande mio marito, che accoglie le mie ansie con la sua semplicità» e «Che dono grande mia moglie, che mi apre la mente alle mille sfaccettature di ogni situazione». Per arrivarci c’è bisogno di ascolto, di umiltà, ma anche di grande forza, per potersi donare all’altro senza perdersi.
Il problema, Tina, non è la paura. Il problema è dove la tua paura andrà a cadere. Se cadrà su un terreno spinoso, o indifferente, oppure se si adagerà sul terreno fertile dell’accoglienza. Tutti – insieme a chi amiamo – possiamo permetterci di avere paura, ma di guardare al futuro con fiducia.




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MANGIA CHE DIVENTI GRANDE

23/12/2010

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A CINQUE ANNI DARLE DA MANGIARE È UNA BATTAGLIA. COME FA UNA FAMIGLIA A VIVERE SERENAMENTE IL MOMENTO DEL PASTO?

"Boca mia, boca tua, boca del can... ahm", si usa nel Veneto. Oppure si passano in rassegna i parenti: «Questo cucchiaio è per la mamma, questo per la zia, questo per la nonna...». Quando diventano più grandicelli, la faccenda si fa più comica, o più tragica: e allora le mamme rincorrono i piccoli armate di cucchiaio pieno, i papà si trasformano in camicie di forza, e poi minacce: «Stai seduto a tavola!», «Se non mangi, niente gelato!», «Guarda quei bambini là che sono più piccoli di te e sono più bravi!».
Nella nostra società opulenta sempre meno il cibo è solo nutrizione; prevalgono gli aspetti simbolici, rituali e comunicativi.
«Mia figlia di 5 anni, prima ancora di aver visto quanto cibo ha nel piatto (ho provato anche a dimezzare le dosi) mi dice: “Non mangio tutto”. – ci scrive Michela – Ogni volta che si siede a tavola le viene una grande sonnolenza e fa così fatica a mangiare».
Per prima cosa, Michela, chiedi al pediatra se questa inappetenza compromette la sua crescita. Sgombrato il campo da questa possibile complicanza, vediamo l’aspetto del comportamento.
La sonnolenza ha a che fare con qualcosa di regressivo, il che è anche comprensibile, visto che, mi scrivi, hai un’altra bimba di 6 mesi. Non è importante che «questo atteggiamento sia iniziato più di un anno fa», perché sap- piamo bene che i bambini reagiscono molto prima della
nascita al fratellino. Addirittura a volte se ne accorgono dando segnali (ad esempio ricominciano a fare la pipì a letto) prima che la madre sappia di essere incinta. Miracoli della vita nel grembo!
Prova allora a metterti nei suoi panni, a vivere l’am- bivalenza tra l’affetto verso la piccolina (a 5 anni già potrebbe fantasticare di fare la mammina) e allo stesso tempo vedere quella sorellina che le ha rubato il seno ma- terno. Tra il voler essere grande e il voler tornare piccola.
È confusa. E nella confusione si chiede e vi chiede: «Qualcuno si accorge di me? Qualcuno mi aiuta a ricono- scermi, a capire chi sono?».
E invece, come succede comunemente nelle famiglie affaticate da lavoro, figli piccoli, fratellini, «dopo aver provato a convincerla con le buone, io e il papà ci arrab- biamo».
Così lei non si sente capita, e voi vi sentite inadeguati e frustrati. Arrabbiarsi non serve, e questo l’avete già capito con l’esperienza.
Che fare? In questo momento la sua fame d’amore ad- dormenta la fame di cibo. Lasciate perdere il cibo e vivete il momento dei pasti soprattutto come un momento di convivialità, di dialogo. Datele ascolto e vicinanza.
Siete genitori attenti, quindi sicuramente avete le com- petenze per farlo.



Attenzione
al sovrappeso


A fronte delle famiglie nelle quali dare da mangiare ai figli è un’impresa, in Italia i risultati di un’indagine promossa dal Ministero della Salute indicano che all’età di 9 anni in città campione di Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Campania, Puglia e Calabria il 23,9% dei bambini è in sovrappeso ed il 13,6% è obeso. L’obesità è il disordine nutrizionale più frequente nei Paesi sviluppati e in particolare l’obesità infantile è uno dei problemi più frequenti in età pediatrica, vista la sua correlazione con significativi rischi per la salute (malattie cardiovascolari, pressione alta, diabete, ipercolesterolemia).



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NATALE LITIGARELLO

23/12/2010

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PROVOCARE
IL CONFLITTO DA PARADOSSALMENTE LA SENSAZIONE DI TIRARSI UN PO' SU. UNA SCARICA DI ADRENALINA.


Caro Marco, ho bisogno di una spiegazione. Siamo una giovane coppia con un bambino che ha appena compiuto un anno. Ci vogliamo bene e ci sembra di non avere particolari problemi.
Durante il periodo delle feste natalizie, però, è successa una cosa strana: io e mia moglie abbiamo passato tutto il tempo a litigare! Non riesco a comprenderne le cause, sembrava quasi che vi fosse una strana voglia di cercare il litigio, trattarci male, non comprenderci... Questo mi ha fatto veramente stare male perché, invece, mi ero preparato a vivere questo bellissimo periodo, per la nascita di Nostro Signore, nel migliore dei modi, con l’animo predisposto ad un sano e felice periodo di Festa con la mia famiglia.
Riesci in qualche modo a spiegarmi la contraddizione che abbiamo vissuto tra la “festa di serenità” e questa “grande litigiosità”?

Thomas


L'amaro rimpianto per un’occasione perduta. Questo leggo nella tua lettera, Thomas. E c’è incredulità:
capitasse a chi percorre le vie dell’aridità e dell’individualismo! A chi cerca solo il Natale consumistico dell’usa e getta! Ma perché proprio a noi? Che magari siamo stati a confessarci l’ultimo sabato pomeriggio prima della Vigilia, che abbiamo preparato insieme albero e presepe? E adesso siamo qui col muso imbronciato. Gesù, bambino buono, dove sei? Perché non visiti la nostra casa? Ti sei scordato di noi?
E quella “strana voglia” di cercare il litigio. «Non faccio il bene che voglio, bensì il male che non voglio», diceva già Paolo di Tarso ai Romani. Contraddizione, anche in lui. Un collega mi parlò con un certo cinismo del massiccio afflusso al suo studio di consulenza familiare nei mesi di gennaio- febbraio, nefasto esito «dei danni del Natale», disse. Dunque non siete i soli, Thomas. Certo, magra consolazione. Rimane il «perché?». Durante le vacanze di Natale si passa più tempo insieme – ovvio – e quindi è inevitabile confrontarsi/affrontarsi su alcuni nodini che magari, nel ritmo della ferialità, erano rimasti in sospeso. Non sottovalutate neppure la stagione: i mesi invernali sono per alcuni molto depressivi, e provocare il conflitto (più o meno consapevolmente) dà paradossalmente la sensazione di tirarsi un po’ su. Una scarica di adrenalina. Vedi, la contraddizione è solo apparente. Ma, nel vostro caso, una giovane famiglia che cerca attivamente il bene, la motivazione principale credo sia proprio lo scarto tra le alte aspettative del “magico Natale” ricolmo solo di bontà, e il senso del proprio limite, delle incomprensioni, dei sentimenti ambivalenti, della fatica fisica di accudire il vostro bimbo. L’amarezza di non essere proprio come si vorrebbe. Che fare? Primo, non spaventatevi e non rinnegate questo momento. Lasciatelo decantare lentamente in voi come la neve che scende d’inverno, che tutto ovatta e tutto imbianca. Accettate con benevolenza e misericordia le vostre debolezze. Poi riconciliatevi, se non l’avete ancora fatto, e ripartite con rinnovato slancio.
Tra un mese sarà Pasqua, festa di Cristo risorto. Coraggio!




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DOTTORE NON DORME!

22/12/2010

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NON RIESCE AD ADDORMENTARSI, O SI SVEGLIA IN CONTINUAZIONE. CHE COSA DISTURBA IL SONNO AD UN BAMBINO DI NOVE MESI CHE AVEVA SEMPRE DORMITO? TRE IPOTESI E ALCUNI SPUNTI PER DORMIRE MEGLIO

Come i segnali di fumo degli indiani d’America: li vedo, non ne capisco il significato ma so che qualcuno sta mandando un messaggio. Siamo di fronte ai bambini che non possono ancora par- lare e comunicano piangendo, ridendo, cercando lo sguardo, e... non dormendo di notte. «Verso l’ottavo/nono mese il no- stro piccino ha cominciato a dormire con difficoltà», mi scrive Silvia.

Per una famiglia è un evento stressante perché crea dei circoli viziosi di stanchezza – impossibilità di dormire – tensione, che logorano il rapporto tra genitori e figlio, e tra marito e moglie. Ecco tre abbozzi di “lettura” di questi segnali. Il primo è fisiologico: è un’età in cui potrebbe esserci il dolore dei dentini che spingono per ta- gliare le gengive, disagio che si amplifica stando sdraiati. Occorre poi verificare che l’ambiente non sia caldo e che il bimbo non sia vestito troppo. Il medico potrà tran- quillizzare riguardo lo stato di salute generale, e questo Silvia l’ha già fatto: «Il pediatra ci ha detto che è una fase normale in quanto, a quell’età, i bimbi cercano la presenza della mamma». E così siamo introdotti alla lettura psicologica: è intorno ai 7 mesi che il bambino comincia a star sveglio intenzionalmente. Prima poteva essere disturbato principalmente da stimoli interni (fame, coliche), invece adesso le sue energie sono orientate a consolidare il rapporto con la mamma. C’è l’angoscia per la temporanea perdita che non gli permette di rilassarsi completamente. In genere i genitori imparano come far fronte a questo tipo di difficoltà: creare un clima tran- quillo, la favola, l’orsacchiotto come oggetto di transizio- ne, orari regolari. Ma c’è una frase nella bella lettera di Silvia che ci potrebbe orientare verso una lettura di tipo “relazionale”: «La cosa strana è che questo periodo non è coinciso con l’inizio del lavoro, “l’insonnia” è cominciata circa un mese prima». Perché non considerare il piccolo talmente competente da captare la preoccupazione della mamma per l’inizio del lavoro? «Come farò? Ne soffrirà? Che pena sarà per lui senza di me...». Ed esprime la pre- occupazione “per conto” della madre. Se, Silvia, senti che potrebbe esser questo, coinvolgi tuo marito. Per gli uomi- ni generalmente il distacco è vissuto con più naturalezza. Accompagnate insieme il momento della nanna.Poi tu esci, e il papà continui a tranquillizzare il bimbo. Tenete le porte aperte e fate sentire che ci siete in casa, presenti e sereni. Riguardo il fatto di tenerlo a letto insieme a voi, cosa che state facendo, non è la fine del mondo ma nemmeno bisogna indugiare troppo. In tre su un letto è disturbante, anche per lui. Parlategli con calma, come se capisse tutto. Tranquillizzerà lui e sarai più tranquilla anche tu.

Lettone sì, lettone no

Approssimando, ci sono due grandi filoni di pensiero: quello americano è per il “lettone sì” adducendo soprattutto motivazioni derivate dall’etologia. Nei mammiferi è naturale che i cuccioli dormano insieme ai genitori: dà sicurezza, è protettivo, sincronizza i ritmi biologici di adulti e piccoli, e, se vissuto naturalmente, altrettanto natu- ralmente i bimbi usciranno dal lettone spontaneamente.

Sostenitrici assolutamente del “lettone no” sono invece le ricerche nord europee, per le quali il lettone crea dipendenza, ed è meglio fin da piccoli essere autonomi per imparare a consolarsi da soli.


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SONO GELOSA

21/12/2010

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"Quando la gelosia occupa tutti i pensieri, diventa una gabbia che soffoca"

Ho un problema che mi tormenta. Sono gelosa. Lo so che sembro un po’ sciocca, dopo 10 anni di un matrimonio diciamo – tra alti e bassi – piacevole. Ho un bravo marito, che mi aiuta in casa e con i bambini. Certo, non come vorrei ma nemmeno mi posso lamentare. In casa va tutto bene.

Ma quando usciamo è un disastro. Non sopporto che guardi, che parli, che possa pensare ad altre donne. Non sopporto che le mie amiche gli rivolgano la parola, che lo possano apprezzare. Mi sembra di dover stare sempre all’erta. Gli uomini – si sa – vanno controllati a vista, sono facilmente manipolabili. Ci cascano come le pere. È successo anche ad una mia amica. Non vorrei essere tra quelle che poi dicono: «Non so come sia potuto succedere. Non me l’aspettavo...»

Monica - Napoli


Un adagio popolare dice che il geloso soffre due volte: per la gelosia e perché non sopporta di essere geloso, e si colpevolizza. Ma così facendo cala la sua autostima, si sente più insicuro... e quindi ancora più geloso. La gelosia, entro certi limiti, è un sentimento normale. È segno di forte interessamento alla persona amata e a volte neces- saria al rapporto, una specie di prova d’amore: io a te ci tengo davvero. Quando invece occupa tutti i pensieri, in maniera diffusa, ossessiva, sempre presente come fantasma che aleggia nel rapporto, diventa una gabbia che soffoca. È la paranoia, il cercare le prove, vivere tesi come una corda di vio- lino, accusare il partner, farlo vivere nel controllo e nel possesso. Monica, da dove ti arriva questa gelosia? Forse già lo sai. Forse da tradimenti presunti o scoperti nella tua famiglia di origine? Un racconto di qualche tua amica sul quale ti sei soffermata? O tuo marito ti ha fatto dubitare di lui? Non ce lo dici. Per diventare meno gelosi non basta la buona volontà, e la “pacca sulla spalla” invece di rassicurare rischia di farti sentire incompresa, sola nel tuo dubbio. Così avrai percepito anche le parole di tuo marito quando ti avrà detto: «Ma di che ti preoccupi? Ma sei matta? Non ci pensare nemmeno...». Oppure il vostro rapporto ha vissuto momenti di forte tensione e a causa di questa gelosia lui, braccato, è diventato più chiuso, o provocatorio: «Non ti fidi di me? Adesso ti do ancora più motivi per farlo».
Per un uomo la mancanza di fiducia è molto dolorosa. Il lavoro sulla tua gelosia va fatto insieme, se persiste con l’aiuto di una persona che vi sappia ascoltare e orientare. Prendetevi dei momenti insieme, come coppia, senza figli, per vivere l’aspetto amicale del vostro rapporto. L’amicizia sincera vissuta anche tra coniugi ben coniuga l’aspetto della fedeltà con quello della libertà. Pensate ad un pro- getto di ampio respiro, che coinvolga voi due, la vostra famiglia, l’impegno sociale e il rapporto con Dio. Pregate insieme e ascoltatevi tanto, non solo con le orecchie ma con tutto il corpo. Guardatevi, sentitevi, con tenerezza, senza fretta.


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VOGLIA DI STUDIARE...SALTAMI ADDOSSO!

20/12/2010

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FORZARLO NON SI PUÒ PIÙ PERCHÉ È GRANDE. PERMETTERGLI DI NON STUDIARE È DISEDUCATIVO. CHE FARE QUANDO UN FIGLIO QUASI MAGGIORENNE NON VUOLE IMPEGNARSI?

Un braccio di ferro via via più sfibrante. È un figlio che non vuole studiare. Una lotta quotidiana fatta di attese deluse, di momenti di tensione e altri in cui si molla. Si prova con le buone maniere e non serve, con i premi diventa un ricatto; si prova allora ad essere duri, anche facendo violenza a se stessi, con le punizioni, con le privazioni (cellulare, Playstation, uscite). Niente! Il muro si fa sempre più alto. La guerra si espande a tutta la famiglia. «È colpa tua», «No, è tua», si accusano marito e moglie. «È per- ché sei troppo rigido», «È perché lo vizi da sempre», «Perché lavori troppo», «Per- ché lo assilli» e avanti così. E gli altri figli si lamentano: «Siete sempre dietro a lui». Quando non ci si mettono i nonni, gli zii e gli amici a dare consigli.

«Sono una mamma con quattro figli – scrive Virginia –. Tutti sono bravi ed autono- mi a scuola tranne il secondo figlio di 17 anni che frequenta la quarta superiore con sofferenza. Dice che non vuole essere uno “sfigato” come le sue compagne di classe che stanno in casa tutto il giorno a studiare».

Ha ragione! Stare in casa a scaldare la sedia e riempir- si la testa di nozioni è proprio “da sfigati”. A 17 anni il sangue ribolle nelle vene, ci si emoziona, ci si appassiona. Questo gli deve dare lo studio come le grandi domande che lo travolgono. Come sarò? Che lavoro farò? Come posso essere originale? Me la caverò da solo? Su chi potrò contare? «Le volte che studia con serietà se la cava bene – prosegue Virginia –. In pratica non è motivato allo studio. A me sembra di capire che là dove c’è bisogno di fare degli sforzi, delle fatiche, preferisca rinunciare».

La voglia, l’ha capito bene, viene da dentro, non da fuori. E questa capacità di porre dei confini, di dire “la motivazione, la passione deve essere mia” è cosa sana, desiderio di auto-nomia, che significa darsi una propria legge, interiore. Che fare allora? Chiede Virginia. «Non vorremmo che facesse qualche colpo di testa». Non è faci- le accompagnare i figli in questa fase. Quando i tentativi di “fare” vanno a vuoto non resta che provare con l’“essere”. Essere di esempio con il proprio lavoro vissuto con gioia e dedizione, anche quando ci sono fatica e momenti di sconforto. Poi, qualche regoletta non può che far bene. Cose semplici: un giorno fisso in cui si cena tutti insieme, che ognuno in casa abbia dei compiti, cadenzare momenti di studio e momenti di svago.

Molti giovani, nel subbuglio delle loro emozioni, gridano il bisogno di ordine. La regola sana non va imposta come una gabbia, ma fatta gustare come un ritmo senza il quale anche la musica – che tanto piace ai ragazzi – non sarebbe così bella.


Uno su quattro lascia
Recenti dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione confermano che la dispersione scolastica – detta tecnica- mente drop-out – negli ultimi decenni ha subito una forte riduzione ma è ancora significativa. Nelle scuole secondarie superiori gli stu- denti che lasciano nel corso dell’anno scolastico sono il 4,6%.

La dispersione scolastica colpisce maggiormente gli studenti degli istituti professionali (8,9%) e gli Istituti d’arte ( 6,5%), più limitata nei licei scientifici (1,8%).

Su 100 ragazzi che si iscrivono alle superiori soltanto 72-73 arrivano al diploma.

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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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    che scrivo su Sempre
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