IL PROBLEMA NON E' AVERE PAURA, MA TROVARE QUALCUNO CHE LA ACCOLGA.
Caro Marco, ho cinquant’anni, sono divorziata da 8 e recentemente mi sono innamorata di una persona che mi ricambia con tutto il cuore. A volte però mi sembra di boicottare la mia felicità, di essere ipercritica e andare a cercare in anticipo tutti i problemi che forse un giorno potrebbero eventualmente verificarsi... La domanda che ti pongo è: come si fa, quando le cicatrici delle precedenti esperienze si fanno sentire, a mettere da parte la paura? Come si fa ad investire e investirsi pienamente in un rapporto sapendo quanto può essere alto il rischio che non sia “per sempre”? (non so se questa lettera può essere pubblicata....ma se hai una risposta privata mi fa piacere lo stesso).
Tina – Mantova
Tina – Mantova
"Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito» sono parole del Salmo 34 ma anche quelle con le quali il Cardinale Dionigi Tettamanzi ha voluto rivolgersi a chi vive situazioni simili alla tua. Pur ribadendo il valore sacramentale e l’indissolubilità del matrimonio, nessuna preclusione, nessun «giudizio sul valore affettivo» da parte della Chiesa, e nemmeno da parte nostra. Sgombrato quindi il campo dai legittimi dubbi in appendice alla tua lettera, Tina, non resta che imboccare la via dell’ascolto e rispondere a ciò che chiedi, perché ci offre interessanti spunti di riflessione. E allora, come si fa a mettere da parte la paura? Ti assicuro che questa domanda non se la fa solo chi ha
le “cicatrici”. Se la fanno quotidianamente mariti e mogli di ogni latitudine. E in genere, è risaputo, affrontano il problema in maniera differente: i mariti sottovalutano i problemi, le mogli li amplificano.
Cosa stia alla base di questo diverso comportamento è complesso da spiegare in poche righe, ma le strade da imboccare sono due. Una è quella della divergenza, della reciproca incomprensione, del «Mio marito non mi capisce, è insensibile» e «Mia moglie è insopportabile, è una lagna».
La seconda via è quella del lento, graduale, reciproco riconoscimento come dono. E allora, i medesimi co-
niugi, con identici problemi da affrontare, potranno dire «Che dono grande mio marito, che accoglie le mie ansie con la sua semplicità» e «Che dono grande mia moglie, che mi apre la mente alle mille sfaccettature di ogni situazione». Per arrivarci c’è bisogno di ascolto, di umiltà, ma anche di grande forza, per potersi donare all’altro senza perdersi.
Il problema, Tina, non è la paura. Il problema è dove la tua paura andrà a cadere. Se cadrà su un terreno spinoso, o indifferente, oppure se si adagerà sul terreno fertile dell’accoglienza. Tutti – insieme a chi amiamo – possiamo permetterci di avere paura, ma di guardare al futuro con fiducia.
le “cicatrici”. Se la fanno quotidianamente mariti e mogli di ogni latitudine. E in genere, è risaputo, affrontano il problema in maniera differente: i mariti sottovalutano i problemi, le mogli li amplificano.
Cosa stia alla base di questo diverso comportamento è complesso da spiegare in poche righe, ma le strade da imboccare sono due. Una è quella della divergenza, della reciproca incomprensione, del «Mio marito non mi capisce, è insensibile» e «Mia moglie è insopportabile, è una lagna».
La seconda via è quella del lento, graduale, reciproco riconoscimento come dono. E allora, i medesimi co-
niugi, con identici problemi da affrontare, potranno dire «Che dono grande mio marito, che accoglie le mie ansie con la sua semplicità» e «Che dono grande mia moglie, che mi apre la mente alle mille sfaccettature di ogni situazione». Per arrivarci c’è bisogno di ascolto, di umiltà, ma anche di grande forza, per potersi donare all’altro senza perdersi.
Il problema, Tina, non è la paura. Il problema è dove la tua paura andrà a cadere. Se cadrà su un terreno spinoso, o indifferente, oppure se si adagerà sul terreno fertile dell’accoglienza. Tutti – insieme a chi amiamo – possiamo permetterci di avere paura, ma di guardare al futuro con fiducia.