PERCHE' A SCUOLA CERTE MATERIE NON SONO INTERESSANTI? E' SOLO UN PROBLEMA DEI RAGAZZI O DOVREMO PENSARE A NUOVI MODI PER COLLEGARLE A CIO' CHE VIVONO?
Questo mese lo spunto per la rubrica viene da una recente esperienza nelle classi seconde di un istituto professionale di agraria; un percorso per la prevenzione delle dipendenze che ci ha portati a contatto con decine di adolescenti più o meno vivaci, più o meno pittoreschi.
Diffidenza, provocazioni e poi squarci del loro mondo interiore, inizialmente intercalati da qualche battuta con la quale il comico di turno otteneva una risata fragorosa. La destrutturazione dell’ambiente classe, il cerchio di sedie ha favorito un reciproco avvicinamento. Tema del secondo incontro, il rapporto con il mondo degli adulti: genitori, insegnanti, ma anche altre figure come gli allenatori del- le squadre di calcio e i fratelli maggiori.
In una classe in particolare le due ore a disposizione sono state quasi interamente impiegate a discutere sul loro rapporto con gli insegnanti. L’atteggiamento iniziale era più che scontato – ci siamo passati tutti – e cioè che i pro- fessori non capiscono un tubo, sono troppo severi, sono incomprensibili, se ne fregano, vengono solo per lo stipen- dio; non tutti, grazie a Dio! Ma una riflessione profonda è emersa in maniera chiara: lo scollamento tra le materie di in- segnamento e il mondo reale che vivono i ragazzi, come se i professori seguissero un clichè predefinito e avessero occhi e orecchi tappati. È un rischio che corrono anche i genitori.
E poi la frase che mi ha colpito per la carica adolescen- ziale di verità e umorismo che trasporta: «Oh, Marco,
senti... le poesie! Ma ti rendi conto? Proprio a noi!? Ma cosa vuoi che interessino le poesie a noi? Io mica che quando sono sul trattore ad arare dico le poesie alla terra!». L’ha pronunciata un diciottenne sveglio e vivace, più alto di me e dal fisico prestante.
Che fare allora? Forse le poesie le insegneremo solo ai liceali? Non penso proprio. Ma che insegnanti e genitori abbiano il dovere di interfacciare il sapere di cui sono portatori con la vita concreta dei ragazzi, questo sì, è un passaggio obbligato. Certo, necessita di lavoro, impegno. Ma sicuramente, se riuscirò a motivare, ad appassionare un giovane inizialmente disinteressato, significa che dentro di me è iniziato un percorso interiore per riappassionarmi, per rendere viva la materia che sto insegnando. Lo stesso vale anche per i genitori, quando devono proporre una regola. È necessario che riflettano su come adattarla allo stile comunicativo dei ragazzi, al loro mondo, senza con questo annacquarla.
Questo mi darà autorevolezza, mi renderà un adulto stimato, e mi preserverà dai rischi psicofisici connessi ad un lavoro – quello dell’insegnante come quello del genitore – così carico di responsabilità.
Diffidenza, provocazioni e poi squarci del loro mondo interiore, inizialmente intercalati da qualche battuta con la quale il comico di turno otteneva una risata fragorosa. La destrutturazione dell’ambiente classe, il cerchio di sedie ha favorito un reciproco avvicinamento. Tema del secondo incontro, il rapporto con il mondo degli adulti: genitori, insegnanti, ma anche altre figure come gli allenatori del- le squadre di calcio e i fratelli maggiori.
In una classe in particolare le due ore a disposizione sono state quasi interamente impiegate a discutere sul loro rapporto con gli insegnanti. L’atteggiamento iniziale era più che scontato – ci siamo passati tutti – e cioè che i pro- fessori non capiscono un tubo, sono troppo severi, sono incomprensibili, se ne fregano, vengono solo per lo stipen- dio; non tutti, grazie a Dio! Ma una riflessione profonda è emersa in maniera chiara: lo scollamento tra le materie di in- segnamento e il mondo reale che vivono i ragazzi, come se i professori seguissero un clichè predefinito e avessero occhi e orecchi tappati. È un rischio che corrono anche i genitori.
E poi la frase che mi ha colpito per la carica adolescen- ziale di verità e umorismo che trasporta: «Oh, Marco,
senti... le poesie! Ma ti rendi conto? Proprio a noi!? Ma cosa vuoi che interessino le poesie a noi? Io mica che quando sono sul trattore ad arare dico le poesie alla terra!». L’ha pronunciata un diciottenne sveglio e vivace, più alto di me e dal fisico prestante.
Che fare allora? Forse le poesie le insegneremo solo ai liceali? Non penso proprio. Ma che insegnanti e genitori abbiano il dovere di interfacciare il sapere di cui sono portatori con la vita concreta dei ragazzi, questo sì, è un passaggio obbligato. Certo, necessita di lavoro, impegno. Ma sicuramente, se riuscirò a motivare, ad appassionare un giovane inizialmente disinteressato, significa che dentro di me è iniziato un percorso interiore per riappassionarmi, per rendere viva la materia che sto insegnando. Lo stesso vale anche per i genitori, quando devono proporre una regola. È necessario che riflettano su come adattarla allo stile comunicativo dei ragazzi, al loro mondo, senza con questo annacquarla.
Questo mi darà autorevolezza, mi renderà un adulto stimato, e mi preserverà dai rischi psicofisici connessi ad un lavoro – quello dell’insegnante come quello del genitore – così carico di responsabilità.
Tutti in piedi!
Entra il maestro
«È giusto che gli alunni abbiano rispetto nei confronti dei docenti», ha detto in clima elettorale Silvio Berlusconi e, fra i banchi, un ritorno alle buone maniere è anche «che gli studenti si alzino quando entra un insegnante». Non poteva mancare la replica dall’altro schieramento affidata a Dario Franceschini: «Non si può fare per decreto legge, ma alzarsi è una cosa intelligente e dovuta nei confronti degli insegnanti, che sono parte importante nella formazione di ognuno». C’è chi allora si è preso la briga di fare un son- daggio: FN&G ricerche, dice che per il 77% degli italiani gli alunni devono alzarsi davanti al maestro.
Entra il maestro
«È giusto che gli alunni abbiano rispetto nei confronti dei docenti», ha detto in clima elettorale Silvio Berlusconi e, fra i banchi, un ritorno alle buone maniere è anche «che gli studenti si alzino quando entra un insegnante». Non poteva mancare la replica dall’altro schieramento affidata a Dario Franceschini: «Non si può fare per decreto legge, ma alzarsi è una cosa intelligente e dovuta nei confronti degli insegnanti, che sono parte importante nella formazione di ognuno». C’è chi allora si è preso la briga di fare un son- daggio: FN&G ricerche, dice che per il 77% degli italiani gli alunni devono alzarsi davanti al maestro.