C’era una volta una Casa nella prateria, dove papà e mamma sorridenti si amavano per sempre, i neonati dor- mivano beati e i figli adolescenti obbedivano entusiasti senza un accenno di contestazione. Bei tempi del passato... Ai nostri giorni, invece, accade che nei primi sei mesi del 2006 – solo a Verona – ci siano 1.000 casi documentati di violenza domestica. E si sa che la bella cittadina veneta detiene il primato di separazioni e divorzi: ogni due nuovi
matrimoni, uno salta. Dentro di noi immagini distorte e polarizzate come quelle della TV: da una parte gli spot di pasta e merendine ci propongono famiglie perennemente felici, dall’altra fiction e gialli si soffermano, morbosi, tra le pieghe della sofferenza, del tradimento, della violenza. E la famiglia «normale» come deve essere? Fino a qualche decennio fa, per gli studiosi delle scienze sociali, la fami- glia normale era quella senza problemi, ma fortunatamente ci si è scostati da questa immagine per di più irreale e frustrante.
Dagli anni Sessanta in poi, da una teoria familiare basata sul consenso a tutti i costi si è passati a una teoria che prendesse in dovuta considerazione la funzione del conflitto. Col tempo l’associazione crisi-instabilità è stata abbandonata fino ad arrivare, negliultimi anni, a capovolgere il punto di vista e a teorizzare una possibile associazione della patologia con l’eccessiva tranquillità in casa. La famiglia è infatti una realtà complessa e dinamica, e la stabilità, intesa come eterno consenso-armonia, ne potrebbe evidenziare la rigidità e la cristallizzazione.
Ci sono dei motivi evidenti per cui la realtà familiare, e in particolare quella coniugale, sarebbe fisiologicamente costellata dal conflitto.
Innanzitutto perché la coppia si trova a gestire il crocevia di tre ordini di differenze: la prima è quella dovuta al fatto che chi si sposa deve integrare due mondi talvolta molto lontani, e per questo incredibilmente affascinanti. Nella coppia moderna, con l’avvicinamento dei percorsi di vita, c’è il bisogno quasi quotidiano di negoziare i ruoli, i tempi di famiglia, le priorità, pur vivendole in maniera molto differente.
La seconda è la differenza di generazioni, che prende avvio dal fatto che si diviene genitori e si devono tirar su le nuove generazioni facendo gli equilibristi, nell’essere educatori, tra tradizione e modernità.
La terza è la differenza di stirpi: il difficile differenziarsi dalle famiglie di origine riuscendo allo stesso tempo a integrarle positivamente.
Ma, nella vita di una coppia, c’è anche la necessità di affrontare, nella diversità, una serie di tappe, di passaggi fisiologici da una fase all’altra della vita familiare. Tra i primi eventi critici: la difficoltà di gestire la delusione rispetto alle attese fantasticate sul partner!
Poi la nascita del primo figlio, grande gioia, ma anche fonte di stress e insicurezza. Ci si è appena ripresi e i figli sono cresciuti e diventano adolescenti ribelli o depressi.
Di occasioni per uscire dalla monotonia ce ne sono. Chi pensa allora che una coppia possa attraversare questo mare senza imparare a gestire le differenze e i conflitti che ne derivano?
Se la guerra, la volontà di distruzione, di annientamento sono da tener lontani dalla famiglia, un temporaneo momenti di incomprensione ha dei lati addirittura positivi: il conflitto evita la stagnazione, la monotonia, stimola la curiosità e la ricerca di soluzioni creative, e può essere un’occasione per sfruttare al massimo le proprie potenzialità. Allora si può provare a far prendere alla diver- sità di opinioni la giusta dimensione, che è quella di ragionare in termini di cooperazione e non di competizione. La competizione implica sempre che ci sia un vincitore e un vinto, che la scelta di una via scarti in assoluto quella dell’avversario, e che chi cede covi sentimenti di rivalsa. Cooperare invece significa imparare a lavorare per un obiettivo comune, permettendo il permanere di differenze anche sostanziali. In altre parole, per risolvere un problema collaborando non serve pensarla tutti allo stesso modo, ma trasformare le differenze in una dinamica costruttiva.
Facciamo un esempio: se due coniugi litigano perché uno vuole andare tutte le domeniche da mamma (generalmente lei) e uno non vuole avere niente a che fare con qualsivoglia parente (generalmente lui), viaggiano su due posizioni estreme e inconciliabili. Allora, non ci deve essere un vincitore e un perdente ogni volta che si discu- te di una visita ai parenti; ognuno può capire che sarà sicuramente arricchito dal desiderio dell’altro, e può scegliere insieme e consapevolmente, di volta in volta, una delle due opzioni.
La mancanza di dissensi – al contrario – potrebbe significare la stagnazione e la ripetizione in famiglia di schemi irrigiditi e di stereotipi dai quali è poi impossibile liberarsi. Il bisogno di non entrare in conflitto per il terrore della rottura, diventa una prigione. Facciamo vivere la nostra famiglia in maniera fluida, dinamica e aperta, e, a volte, concediamoci anche il lusso di litigare. Questa è la libertà di chi ha acquisito la fiducia che il conflitto, la diversità di opinioni, può essere espressa senza che la relazione venga messa in discussione. Resta per alcuni la difficoltà emotiva di reggere i momenti di maggior tensione. Allora non spaventiamoci e proviamo col vecchio e banale adagio del «Mal comune mezzo gaudio». Sì, i problemi, le giornate e le settimane «no» le hanno tutti. Il fatto di passare momenti insieme ad altre famiglie, che magari si trovano ad affrontare problemi simili, può far tornare la serenità, ridimensionare le nostre ansie e sdrammatizzare alcune situazioni pesanti. Alcuni recenti studi hanno scoperto che non ci sono differenze sostanziali nei temi e nei meccanismi conflittuali delle famiglie che evolvono verso percorsi di disfunzionalità e di quelle che invece si definiscono realizzate. Solo che le prime accumulano continuamente fango su fango, mentre le seconde ogni volta sanno rialzarsi. Cerchiamo di far parte del club di quelli che, con umiltà e amore, ricominciano ogni giorno la loro avventura.
COS’È IL CONFLITTO
Per la psicanalisi è qualcosa di legato alla natura dell’uomo. Sigmund Freud lo attribuisce a forti pulsioni interne, Melanie Klein lo associa agli istinti aggressivi di base. Secondo l’approccio relazionale, il conflitto è legato al bisogno di preservare i propri prodotti culturali.
Il sociologo Niklas Luhmann, che si è occupato di conflitti, li definisce «contraddizioni divenute operative». Avviene una semplificazione delle informazioni e un uso selettivo di esse. Quando il conflitto si inasprisce ognuno cerca la «sua» verità, spacciandola per verità assoluta e rifiutando di lavorare per la ricerca di un senso condiviso.
matrimoni, uno salta. Dentro di noi immagini distorte e polarizzate come quelle della TV: da una parte gli spot di pasta e merendine ci propongono famiglie perennemente felici, dall’altra fiction e gialli si soffermano, morbosi, tra le pieghe della sofferenza, del tradimento, della violenza. E la famiglia «normale» come deve essere? Fino a qualche decennio fa, per gli studiosi delle scienze sociali, la fami- glia normale era quella senza problemi, ma fortunatamente ci si è scostati da questa immagine per di più irreale e frustrante.
Dagli anni Sessanta in poi, da una teoria familiare basata sul consenso a tutti i costi si è passati a una teoria che prendesse in dovuta considerazione la funzione del conflitto. Col tempo l’associazione crisi-instabilità è stata abbandonata fino ad arrivare, negliultimi anni, a capovolgere il punto di vista e a teorizzare una possibile associazione della patologia con l’eccessiva tranquillità in casa. La famiglia è infatti una realtà complessa e dinamica, e la stabilità, intesa come eterno consenso-armonia, ne potrebbe evidenziare la rigidità e la cristallizzazione.
Ci sono dei motivi evidenti per cui la realtà familiare, e in particolare quella coniugale, sarebbe fisiologicamente costellata dal conflitto.
Innanzitutto perché la coppia si trova a gestire il crocevia di tre ordini di differenze: la prima è quella dovuta al fatto che chi si sposa deve integrare due mondi talvolta molto lontani, e per questo incredibilmente affascinanti. Nella coppia moderna, con l’avvicinamento dei percorsi di vita, c’è il bisogno quasi quotidiano di negoziare i ruoli, i tempi di famiglia, le priorità, pur vivendole in maniera molto differente.
La seconda è la differenza di generazioni, che prende avvio dal fatto che si diviene genitori e si devono tirar su le nuove generazioni facendo gli equilibristi, nell’essere educatori, tra tradizione e modernità.
La terza è la differenza di stirpi: il difficile differenziarsi dalle famiglie di origine riuscendo allo stesso tempo a integrarle positivamente.
Ma, nella vita di una coppia, c’è anche la necessità di affrontare, nella diversità, una serie di tappe, di passaggi fisiologici da una fase all’altra della vita familiare. Tra i primi eventi critici: la difficoltà di gestire la delusione rispetto alle attese fantasticate sul partner!
Poi la nascita del primo figlio, grande gioia, ma anche fonte di stress e insicurezza. Ci si è appena ripresi e i figli sono cresciuti e diventano adolescenti ribelli o depressi.
Di occasioni per uscire dalla monotonia ce ne sono. Chi pensa allora che una coppia possa attraversare questo mare senza imparare a gestire le differenze e i conflitti che ne derivano?
Se la guerra, la volontà di distruzione, di annientamento sono da tener lontani dalla famiglia, un temporaneo momenti di incomprensione ha dei lati addirittura positivi: il conflitto evita la stagnazione, la monotonia, stimola la curiosità e la ricerca di soluzioni creative, e può essere un’occasione per sfruttare al massimo le proprie potenzialità. Allora si può provare a far prendere alla diver- sità di opinioni la giusta dimensione, che è quella di ragionare in termini di cooperazione e non di competizione. La competizione implica sempre che ci sia un vincitore e un vinto, che la scelta di una via scarti in assoluto quella dell’avversario, e che chi cede covi sentimenti di rivalsa. Cooperare invece significa imparare a lavorare per un obiettivo comune, permettendo il permanere di differenze anche sostanziali. In altre parole, per risolvere un problema collaborando non serve pensarla tutti allo stesso modo, ma trasformare le differenze in una dinamica costruttiva.
Facciamo un esempio: se due coniugi litigano perché uno vuole andare tutte le domeniche da mamma (generalmente lei) e uno non vuole avere niente a che fare con qualsivoglia parente (generalmente lui), viaggiano su due posizioni estreme e inconciliabili. Allora, non ci deve essere un vincitore e un perdente ogni volta che si discu- te di una visita ai parenti; ognuno può capire che sarà sicuramente arricchito dal desiderio dell’altro, e può scegliere insieme e consapevolmente, di volta in volta, una delle due opzioni.
La mancanza di dissensi – al contrario – potrebbe significare la stagnazione e la ripetizione in famiglia di schemi irrigiditi e di stereotipi dai quali è poi impossibile liberarsi. Il bisogno di non entrare in conflitto per il terrore della rottura, diventa una prigione. Facciamo vivere la nostra famiglia in maniera fluida, dinamica e aperta, e, a volte, concediamoci anche il lusso di litigare. Questa è la libertà di chi ha acquisito la fiducia che il conflitto, la diversità di opinioni, può essere espressa senza che la relazione venga messa in discussione. Resta per alcuni la difficoltà emotiva di reggere i momenti di maggior tensione. Allora non spaventiamoci e proviamo col vecchio e banale adagio del «Mal comune mezzo gaudio». Sì, i problemi, le giornate e le settimane «no» le hanno tutti. Il fatto di passare momenti insieme ad altre famiglie, che magari si trovano ad affrontare problemi simili, può far tornare la serenità, ridimensionare le nostre ansie e sdrammatizzare alcune situazioni pesanti. Alcuni recenti studi hanno scoperto che non ci sono differenze sostanziali nei temi e nei meccanismi conflittuali delle famiglie che evolvono verso percorsi di disfunzionalità e di quelle che invece si definiscono realizzate. Solo che le prime accumulano continuamente fango su fango, mentre le seconde ogni volta sanno rialzarsi. Cerchiamo di far parte del club di quelli che, con umiltà e amore, ricominciano ogni giorno la loro avventura.
COS’È IL CONFLITTO
Per la psicanalisi è qualcosa di legato alla natura dell’uomo. Sigmund Freud lo attribuisce a forti pulsioni interne, Melanie Klein lo associa agli istinti aggressivi di base. Secondo l’approccio relazionale, il conflitto è legato al bisogno di preservare i propri prodotti culturali.
Il sociologo Niklas Luhmann, che si è occupato di conflitti, li definisce «contraddizioni divenute operative». Avviene una semplificazione delle informazioni e un uso selettivo di esse. Quando il conflitto si inasprisce ognuno cerca la «sua» verità, spacciandola per verità assoluta e rifiutando di lavorare per la ricerca di un senso condiviso.