L'ARRIVO DI UN FIGLIO E IL SUO IMPATTO SUL BILANCIO FAMILIARE
Cameretta, fiocco rosa azzurro, culla, passeggino, seggiolino, seggiolone, latte in polvere (o coppette assorbi latte), pranzo per il battesimo (meglio cominciare anche a risparmiare già per comunione e cresima), pappe varie, triciclo, visite mediche, giochi, quaderni, grembiulino, vestitini, scarpe, biciclette di varie misure, apparecchio odontoiatrico, occhiali, libri di testo, computer, cd, lettore mp3, cellulare (questi ultimi solo perché «ce l’hanno anche gli altri»), paghetta settimanale, patentino, scooter, università, auto, regali per la fidanzata, mancia per l’acquisto della prima casa. Totale: circa 240mila euro dilazionati in 25 anni, a tasso molto variabile. Secondo rigorosi studi del Cnel dello scorso anno, in Italia la spesa media per un figlio si aggira intorno agli 800 euro al mese, con qualche variazione determinata dal reddito, dall’età, dalla regione di appartenenza.
L’arrivo di un figlio impatta sul bilancio famigliare mediamente con un 20%. In pratica, una famiglia che mette al mondo un figlio, si ritrova più povera del 20%. Altri studi arrivano a teorizzare percentuali intorno al 40-50%. Già lo percepiscono i milioni di madri e di padri che quotidianamente fanno i conti – talvolta combattono – con il bilancio di casa. Per completare il quadro economico però bisogna precisare che per mantenere un figlio non ci sono solo i costi «diretti», cioè i soldi che si devono tirare fuori di tasca concretamente.
C’è molto altro da mettere sul piatto della bilancia: quelli che gli economisti chiamano i «costi opportunità». Quanto impatta infatti l’arrivo di un figlio rispetto alle scelte lavorative di mamma e papà?
Quanto costa in termini di mancate opportunità l’uscita, a volte protratta per l’arrivo dei fratellini, della mamma dal mercato del lavoro? Quale sarà la sua posizione quando rientrerà, rispetto alla carriera di una donna che non ha dovuto interromperla?
Quanto costa la minor disponibilità di orari e di spostamenti di papà nel confronto con i colleghi «più liberi»? Anche questo, solo i genitori lo sanno. E c’è da augurarsi che non ci siano imprevisti sul percorso!
IN ITALIA POCHI FIGLI
Ora, abbiamo speso fiumi di parole sul problema demografico, abbiamo tirato in ballo la società e la psicologia, abbiamo detto che gli italiani sono mammoni, disimpegnati, edonisti, che fare figli è un atto che necessiterebbe di una speranza che abbiamo perso. Sicuramente c’è del vero, e bisogna tenerne conto. Ma c’è un fatto oggettivo, semplice e lampante che non ha biso- gno di molti commenti. È il problema economico da affrontare.
Dato primo: l’Italia impiega lo 0,9% del Pil per le politiche famigliari, contro una media europea intorno al 2,4%. Dato secondo: l’Italia è l’ultimo Paese al mondo in fatto di natalità, col suo triste primato di 1,2 figli per donna. Risultato: meno investimenti sulla fami- glia significa meno figli. E non ci vuole un genio per intuire che una qualche correlazione ci deve essere.
«Prova del nove»: la Francia, che economicamente non se la passa molto meglio di noi, negli ultimi anni ha intrapreso per la famiglia politiche coraggiose che sono state premiate con una netta inversione di tendenza in fatto di natalità, culminata nel record europeo del 2003 con 1,9 figli per donna. Per la famiglia hanno investito il 3% del Pil. Perché? «Ogni nuovo nato è anche un guadagno economico e un motivo di crescita per tutto il paese», ha affermato il ministro francese per gli affari sociali.
POLITICHE FAMIGLIARI CHI LE HA VISTE?
Di politiche economiche a sostegno della famiglia si parla a ogni campagna elettorale, e ogni volta tutto tace un paio di mesi dopo. Perché le politiche famigliari? Tutti sono liberi di scegliere che tipo di famiglia o di non-famiglia vogliono costruire, ma quando si tratta di incentivare la natalità dovrebbe essere ovvio che non vanno dati gli stessi incentivi: a esempio a una coppia sposata con tre figli e a un single o una coppia di conviventi. Non si tratta di discriminare, ma semplicemente di affinare il target in base ai risultati che si vogliono ottenere. I figli sono un bene per tutti: i figli dei poveri, delle classi medie, dei benestanti. Saranno altre leggi che cercheranno di attenuare il divario sociale. Gli assegni al nucleo famigliare sono attualmente fortemente ancorati al reddito. Così chi sceglie di guadagnare di più per poter mantenere più figli se li vede veloce- mente assottigliare. Stessa cosa dicasi per le tasse, che dovrebbero essere calcolate in base all’effettiva capacità contributiva (art. 53 della Costituzione). È chiaro che una famiglia con 1-2 percettori di reddito e 2-3 a carico ha una capacità contributiva ridotta. Si sente parlare di «equità fiscale orizzontale», nel senso di consentire per tutte le famiglie la facoltà di dedurre dall’imponibile i costi necessari al mantenimento della prole, come avviene attualmente in Francia e in Germania. Detto in altre parole, perché – se i figli sono un bene, una risorsa – i genitori devono pagare le tasse sui soldi che spendono per mantenerli?
Persino le aziende detraggono dal reddito le spese e gli investimenti, e pagano le tasse solo su quello che resta! Ma per la famiglia, finora, solo parole e qualche spicciolo.
UN CAPITALE DI UMANITÀ
Sviluppato così il ragionamento, la paura di fare figli cresce. Ma allora, che cosa ci guadagnano i genitori che continuano a procreare? Forse il fatto di veder crescere il frutto del loro amore, la gioia di avere la casa animata da un vocio continuo, l’orgoglio di essere papà e mamma. La famiglia, dove si distribuisce fiducia, si vive la trepidazione della vita nascente, si dispensa amore e si consolano le fe- rite. Dove si cresce, si impara a rispettare le differenze, e di tutti si fa una risorsa.
È quello che gli studiosi chiamano il «capitale sociale», generato soprattutto – è stato dimostrato – dalle famiglie con prole e che si espande come tessuto con- nettivo nella società, dando aria nuova alle relazioni, creando benessere umano. Si dice che per fare figli in Italia bisogna essere «molto ricchi, o molto poveri, o molto cattolici».
È vero, per fare figli occorre avere il coraggio di sganciarsi dal calcolo economico, e buttare il cuore a una dimensione trascendente. Solo questo può ripagare con gli interessi le fatiche dell’impresa. Una nuova versione della nota pubbli- cità della carta di credito: lettino 200 euro, passeggino 150 euro, pranzo per battesimo 25 euro a testa, vedere un figlio che cresce... non ha prezzo.
FAMIGLIE NUMEROSE
Un figlio incide pesantemente sulla condizione socio economica della famiglia. La conseguenza è che più figli si hanno, più aumenta statisticamente il rischio di trovarsi sotto la soglia della povertà.
IN ITALIA:
FAMIGLIE POVERE 11,1% delle famiglie
FAMIGLIE POVERE CON FIGLI: 13,3 delle famiglie con figli
FAMIGLIE POVERE CON 3 O PIù FIGLI 24,5% delle famiglie con 3 o più figli (Fonte: Istat)
L’arrivo di un figlio impatta sul bilancio famigliare mediamente con un 20%. In pratica, una famiglia che mette al mondo un figlio, si ritrova più povera del 20%. Altri studi arrivano a teorizzare percentuali intorno al 40-50%. Già lo percepiscono i milioni di madri e di padri che quotidianamente fanno i conti – talvolta combattono – con il bilancio di casa. Per completare il quadro economico però bisogna precisare che per mantenere un figlio non ci sono solo i costi «diretti», cioè i soldi che si devono tirare fuori di tasca concretamente.
C’è molto altro da mettere sul piatto della bilancia: quelli che gli economisti chiamano i «costi opportunità». Quanto impatta infatti l’arrivo di un figlio rispetto alle scelte lavorative di mamma e papà?
Quanto costa in termini di mancate opportunità l’uscita, a volte protratta per l’arrivo dei fratellini, della mamma dal mercato del lavoro? Quale sarà la sua posizione quando rientrerà, rispetto alla carriera di una donna che non ha dovuto interromperla?
Quanto costa la minor disponibilità di orari e di spostamenti di papà nel confronto con i colleghi «più liberi»? Anche questo, solo i genitori lo sanno. E c’è da augurarsi che non ci siano imprevisti sul percorso!
IN ITALIA POCHI FIGLI
Ora, abbiamo speso fiumi di parole sul problema demografico, abbiamo tirato in ballo la società e la psicologia, abbiamo detto che gli italiani sono mammoni, disimpegnati, edonisti, che fare figli è un atto che necessiterebbe di una speranza che abbiamo perso. Sicuramente c’è del vero, e bisogna tenerne conto. Ma c’è un fatto oggettivo, semplice e lampante che non ha biso- gno di molti commenti. È il problema economico da affrontare.
Dato primo: l’Italia impiega lo 0,9% del Pil per le politiche famigliari, contro una media europea intorno al 2,4%. Dato secondo: l’Italia è l’ultimo Paese al mondo in fatto di natalità, col suo triste primato di 1,2 figli per donna. Risultato: meno investimenti sulla fami- glia significa meno figli. E non ci vuole un genio per intuire che una qualche correlazione ci deve essere.
«Prova del nove»: la Francia, che economicamente non se la passa molto meglio di noi, negli ultimi anni ha intrapreso per la famiglia politiche coraggiose che sono state premiate con una netta inversione di tendenza in fatto di natalità, culminata nel record europeo del 2003 con 1,9 figli per donna. Per la famiglia hanno investito il 3% del Pil. Perché? «Ogni nuovo nato è anche un guadagno economico e un motivo di crescita per tutto il paese», ha affermato il ministro francese per gli affari sociali.
POLITICHE FAMIGLIARI CHI LE HA VISTE?
Di politiche economiche a sostegno della famiglia si parla a ogni campagna elettorale, e ogni volta tutto tace un paio di mesi dopo. Perché le politiche famigliari? Tutti sono liberi di scegliere che tipo di famiglia o di non-famiglia vogliono costruire, ma quando si tratta di incentivare la natalità dovrebbe essere ovvio che non vanno dati gli stessi incentivi: a esempio a una coppia sposata con tre figli e a un single o una coppia di conviventi. Non si tratta di discriminare, ma semplicemente di affinare il target in base ai risultati che si vogliono ottenere. I figli sono un bene per tutti: i figli dei poveri, delle classi medie, dei benestanti. Saranno altre leggi che cercheranno di attenuare il divario sociale. Gli assegni al nucleo famigliare sono attualmente fortemente ancorati al reddito. Così chi sceglie di guadagnare di più per poter mantenere più figli se li vede veloce- mente assottigliare. Stessa cosa dicasi per le tasse, che dovrebbero essere calcolate in base all’effettiva capacità contributiva (art. 53 della Costituzione). È chiaro che una famiglia con 1-2 percettori di reddito e 2-3 a carico ha una capacità contributiva ridotta. Si sente parlare di «equità fiscale orizzontale», nel senso di consentire per tutte le famiglie la facoltà di dedurre dall’imponibile i costi necessari al mantenimento della prole, come avviene attualmente in Francia e in Germania. Detto in altre parole, perché – se i figli sono un bene, una risorsa – i genitori devono pagare le tasse sui soldi che spendono per mantenerli?
Persino le aziende detraggono dal reddito le spese e gli investimenti, e pagano le tasse solo su quello che resta! Ma per la famiglia, finora, solo parole e qualche spicciolo.
UN CAPITALE DI UMANITÀ
Sviluppato così il ragionamento, la paura di fare figli cresce. Ma allora, che cosa ci guadagnano i genitori che continuano a procreare? Forse il fatto di veder crescere il frutto del loro amore, la gioia di avere la casa animata da un vocio continuo, l’orgoglio di essere papà e mamma. La famiglia, dove si distribuisce fiducia, si vive la trepidazione della vita nascente, si dispensa amore e si consolano le fe- rite. Dove si cresce, si impara a rispettare le differenze, e di tutti si fa una risorsa.
È quello che gli studiosi chiamano il «capitale sociale», generato soprattutto – è stato dimostrato – dalle famiglie con prole e che si espande come tessuto con- nettivo nella società, dando aria nuova alle relazioni, creando benessere umano. Si dice che per fare figli in Italia bisogna essere «molto ricchi, o molto poveri, o molto cattolici».
È vero, per fare figli occorre avere il coraggio di sganciarsi dal calcolo economico, e buttare il cuore a una dimensione trascendente. Solo questo può ripagare con gli interessi le fatiche dell’impresa. Una nuova versione della nota pubbli- cità della carta di credito: lettino 200 euro, passeggino 150 euro, pranzo per battesimo 25 euro a testa, vedere un figlio che cresce... non ha prezzo.
FAMIGLIE NUMEROSE
Un figlio incide pesantemente sulla condizione socio economica della famiglia. La conseguenza è che più figli si hanno, più aumenta statisticamente il rischio di trovarsi sotto la soglia della povertà.
IN ITALIA:
FAMIGLIE POVERE 11,1% delle famiglie
FAMIGLIE POVERE CON FIGLI: 13,3 delle famiglie con figli
FAMIGLIE POVERE CON 3 O PIù FIGLI 24,5% delle famiglie con 3 o più figli (Fonte: Istat)