NON È FACILE FARE I GENITORI QUANDO SI È MESSI IN DISCUSSIONE DAI FIGLI. EPPURE È IL MOMENTO NEL QUALE HANNO BISOGNO DEGLI ADULTI E DELLA LORO FORZA D’ANIMO
Si sa, i figli spesso si lamentano dei genitori. Fa parte del gioco: a volte mamma e papà sono i più bravi del mondo, altre volte sono i peggiori. Nell’adolescenza – in particolare – la critica dei modelli familiari, serve ai ragazzi per trovare lo slancio necessario e staccar- si, per riuscire a progettare una vita pro- pria. È un passaggio doloroso ma sano.
Anita invece ci scrive di una figlia di 7 anni che «Mi dice che non l’ascolto mai. È sempre imbronciata, anche davanti agli altri, in pubblico, e questo mi fa imbestialire. Vedo le altre bambine con le loro mamme che sono carine, passeggiano mano nella mano, discutono. La mia sempre a farmi fare figuracce! »
E stai proprio male. Tua figlia che ti sbatte in faccia le tue vere o presunte mancanze è una pugnalata. E ti dici: se adesso è così figuriamoci tra qualche anno!
«Mi sono convinta di non essere tagliata per fare la madre».
Ma come Anita? Tua figlia ti chiede aiuto e tu ti ritiri?
Senti, questo è un momento nel quale tua figlia ha particolarmente bisogno di te, e tu sei per lei preziosa ed indispensabile. Perché? Perché altrimenti non ti manife- sterebbe così il suo disagio.
Un disagio c’è, è vero, ma non devi sentirti inadeguata, in colpa, perché il senso di colpa blocca le energie vitali e non ti permette di sintonizzarti su tua figlia.
La guerra di Mario (Antonio Capuano, 2005) parla di un ragazzino difficile, con un passato di violenze, che proviene da una zona degradata alla periferia di Napoli. Viene affidato ad una coppia benestante. La mamma (Valeria Golino) è convinta che “Mario non vuole essere educato, ma accolto” e così il film si gioca in una contrapposizione tra la necessità di educare e quella di lasciare libero. Ma chi l’ha detto che le regole in educazione siano solo una gabbia che limita la libertà? Educare significa anche contenere, condurre, indirizzare al bene. L’assenza di limiti, anche nel film, è un fallimento educativo.
Prova, invece che inadeguata, a sentirti responsabile di tua figlia e del suo malessere.
Responsabile significa “abile a rispondere”.
Solo alcuni spunti per farti riflettere. Il primo: coinvolgi tuo marito. Perché non me ne parli? Potrebbe essere molto salutare la relazione con lui. Metti un po’ di maschile all’interno di quella relazione tutta al femminile con tua fi- glia. Fai spazio alla sua forza, a volte al suo essere un po- chino selvatico, per alleggerire probabilmente un eccessodi fusione. Fallo essere presente come tuo sposo, così tua figlia ti ammirerà.
Secondo: chiediti che figlia sei stata tu. Eri ribelle come lei? Allora procede tutto secondo copione. Eri l’esatto contrario, cioè sempre remissiva? Allora forse c’è un po’ di invidia e di fastidio per quello che fa tua figlia, perché tu non hai mai potuto permettertelo. Chiedi a tua madre – se c’è ancora – e ti sarà di aiuto per conoscere la tua storia.
Terzo ed ultimo: chiediti perché quando ricevi una lamentela la tua autostima vacilla. Tua figlia non ti ha detto che tu sei incapace di ascoltare, ma che non si sente capita. C’è una bella differenza!
Anita invece ci scrive di una figlia di 7 anni che «Mi dice che non l’ascolto mai. È sempre imbronciata, anche davanti agli altri, in pubblico, e questo mi fa imbestialire. Vedo le altre bambine con le loro mamme che sono carine, passeggiano mano nella mano, discutono. La mia sempre a farmi fare figuracce! »
E stai proprio male. Tua figlia che ti sbatte in faccia le tue vere o presunte mancanze è una pugnalata. E ti dici: se adesso è così figuriamoci tra qualche anno!
«Mi sono convinta di non essere tagliata per fare la madre».
Ma come Anita? Tua figlia ti chiede aiuto e tu ti ritiri?
Senti, questo è un momento nel quale tua figlia ha particolarmente bisogno di te, e tu sei per lei preziosa ed indispensabile. Perché? Perché altrimenti non ti manife- sterebbe così il suo disagio.
Un disagio c’è, è vero, ma non devi sentirti inadeguata, in colpa, perché il senso di colpa blocca le energie vitali e non ti permette di sintonizzarti su tua figlia.
La guerra di Mario (Antonio Capuano, 2005) parla di un ragazzino difficile, con un passato di violenze, che proviene da una zona degradata alla periferia di Napoli. Viene affidato ad una coppia benestante. La mamma (Valeria Golino) è convinta che “Mario non vuole essere educato, ma accolto” e così il film si gioca in una contrapposizione tra la necessità di educare e quella di lasciare libero. Ma chi l’ha detto che le regole in educazione siano solo una gabbia che limita la libertà? Educare significa anche contenere, condurre, indirizzare al bene. L’assenza di limiti, anche nel film, è un fallimento educativo.
Prova, invece che inadeguata, a sentirti responsabile di tua figlia e del suo malessere.
Responsabile significa “abile a rispondere”.
Solo alcuni spunti per farti riflettere. Il primo: coinvolgi tuo marito. Perché non me ne parli? Potrebbe essere molto salutare la relazione con lui. Metti un po’ di maschile all’interno di quella relazione tutta al femminile con tua fi- glia. Fai spazio alla sua forza, a volte al suo essere un po- chino selvatico, per alleggerire probabilmente un eccessodi fusione. Fallo essere presente come tuo sposo, così tua figlia ti ammirerà.
Secondo: chiediti che figlia sei stata tu. Eri ribelle come lei? Allora procede tutto secondo copione. Eri l’esatto contrario, cioè sempre remissiva? Allora forse c’è un po’ di invidia e di fastidio per quello che fa tua figlia, perché tu non hai mai potuto permettertelo. Chiedi a tua madre – se c’è ancora – e ti sarà di aiuto per conoscere la tua storia.
Terzo ed ultimo: chiediti perché quando ricevi una lamentela la tua autostima vacilla. Tua figlia non ti ha detto che tu sei incapace di ascoltare, ma che non si sente capita. C’è una bella differenza!