LA SCUOLA PUÒ DIVENTARE UN’ANSIA, PER I FIGLI MA ANCHE PER I GENITORI. E I COMPITI PER CASA? È GIUSTO AIUTARLI O È MEGLIO CHE SI ARRANGINO?
Parafrasando Beppe Grillo si potreb- be dire che la generazione attuale è l’ultima che si preoccupava per i propri compiti (per evitare il rimprovero dei genitori) e la prima che si preoccupa per i compiti dei propri figli (per evitare il rimprovero degli insegnanti).
Reti di mamme che intasano le linee telefoniche pomeridiane per confrontarsi su esercizi, interrogazioni, interpretazioni dei diari, ed eserciti di padri che tornando stanchi dal lavoro sull’uscio si chiedono: «Sarò capace stasera di risolvere il compito di matematica di mio figlio?».
Perché poi ci saranno i ricevimenti: quegli stessi genitori che da piccoli aspettavano terrorizzati, implorando pietà, papà che tornava dal colloquio, adesso si ritrovano davanti al professore, con trent’anni in più, come in tribunale. E gli imputati sono sempre loro.
Immagine volutamente fantozziana, sicuramente non è così per tutti ma lo è in molte famiglie, tra le quali quella di Ilaria la quale ci scrive che «purtroppo sono ricominciate le scuole e con le scuole l’incubo. Già c’erano state le prime avvisaglie a fine agosto. Ci siamo accorti che era quasi passata l’estate e che nostro figlio Luca, che quest’anno va in quinta elementare, non aveva ancora iniziato i compiti delle vacanze. E allora io e mio marito ci siamo dati i turni per seguirlo. Adesso sarà tutti i giorni così, perché se non lo faccio io lui è un irresponsabile e andrebbe sempre a scuola con qualcosa da fare. Eppure è un ragazzo intelligente e questo mi dà ancora più rabbia. A volte dimentica i quaderni, e allora via a fare le fotocopie dai suoi compagni. Mio marito è piuttosto seccato da questa situazione perché in casa non c’è pace, tutte le sere i compiti da finire. Ma io, che a scuola ero sempre diligente, perché mi merito un figlio così?».
So poco di te, Ilaria, ma una pista potrebbe essere questa: semplicemente avete motivazioni diverse.
Perché tu eri diligente? Solo perché ti piaceva applicarti o anche perché avevi paura dei giudizi negativi? Perché i tuoi erano severi? Perché studiare rappresentava un modo di riscattarti e di avere una buona posizione sociaLe? Magari ora, tuo figlio, non ha nessuna delle motivazioni che spingevano te. Lui ha tutto, e ha pure chi si preoccupa al posto suo.
Di chi è il problema? In questo momento dei genitori che hanno preso il posto del figlio, impedendogli di apprendere la fatica, il gusto di applicarsi, di apprendere e di farcela, la consapevolezza delle proprie capacità, che passano anche attraverso qualche fallimento. Altro è aiutare, altro è sostituirsi.
Reti di mamme che intasano le linee telefoniche pomeridiane per confrontarsi su esercizi, interrogazioni, interpretazioni dei diari, ed eserciti di padri che tornando stanchi dal lavoro sull’uscio si chiedono: «Sarò capace stasera di risolvere il compito di matematica di mio figlio?».
Perché poi ci saranno i ricevimenti: quegli stessi genitori che da piccoli aspettavano terrorizzati, implorando pietà, papà che tornava dal colloquio, adesso si ritrovano davanti al professore, con trent’anni in più, come in tribunale. E gli imputati sono sempre loro.
Immagine volutamente fantozziana, sicuramente non è così per tutti ma lo è in molte famiglie, tra le quali quella di Ilaria la quale ci scrive che «purtroppo sono ricominciate le scuole e con le scuole l’incubo. Già c’erano state le prime avvisaglie a fine agosto. Ci siamo accorti che era quasi passata l’estate e che nostro figlio Luca, che quest’anno va in quinta elementare, non aveva ancora iniziato i compiti delle vacanze. E allora io e mio marito ci siamo dati i turni per seguirlo. Adesso sarà tutti i giorni così, perché se non lo faccio io lui è un irresponsabile e andrebbe sempre a scuola con qualcosa da fare. Eppure è un ragazzo intelligente e questo mi dà ancora più rabbia. A volte dimentica i quaderni, e allora via a fare le fotocopie dai suoi compagni. Mio marito è piuttosto seccato da questa situazione perché in casa non c’è pace, tutte le sere i compiti da finire. Ma io, che a scuola ero sempre diligente, perché mi merito un figlio così?».
So poco di te, Ilaria, ma una pista potrebbe essere questa: semplicemente avete motivazioni diverse.
Perché tu eri diligente? Solo perché ti piaceva applicarti o anche perché avevi paura dei giudizi negativi? Perché i tuoi erano severi? Perché studiare rappresentava un modo di riscattarti e di avere una buona posizione sociaLe? Magari ora, tuo figlio, non ha nessuna delle motivazioni che spingevano te. Lui ha tutto, e ha pure chi si preoccupa al posto suo.
Di chi è il problema? In questo momento dei genitori che hanno preso il posto del figlio, impedendogli di apprendere la fatica, il gusto di applicarsi, di apprendere e di farcela, la consapevolezza delle proprie capacità, che passano anche attraverso qualche fallimento. Altro è aiutare, altro è sostituirsi.