È un film prodotto dalla Disney nel 2005, che riprende un suo vecchio personaggio dei fumetti. Non è facile la vita del piccolo polletto di campagna, che vive solo con il padre che non riesce a capirlo, anche se animato da buone intenzioni. Papà è grande e forte, e il piccolo non sarà mai come lui. Papà è deluso ma Chicken Little non si arrende e salverà il suo paese addirittura dagli alieni. Bel cartone da guardare con i bambini, che parla della difficoltà di un genitore solo, e di un figlio che troverà una forza più grande della sua statura.
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È un vecchissimo film di Bergman (1973) per nulla facile da vedere ma assolutamente efficace nel cogliere il rapporto paradossale tra un rapporto simbiotico, la complicità nella menzogna, l’impossibilità di slegarsi e la violenza che ne consegue. Il regista – come suo stile – indugia quasi morbosamente nelle pieghe e nelle contraddizioni di un matrimonio apparentemente perfetto, realmente opprimente. Un pugno nello stomaco, ma vale la pena vederlo. Da evitare di vedere con i bambini e da non considerare per una bella seratina con il partner. È un film un po’ vecchiotto (1989, diretto da Ron Howard), e anche piuttosto leggerino ma molto interessante, che mette in scena in forma di commedia le relazioni familiari, parentali e allargate. Interpretato da un delizioso e ironico Steve Martin (il protagonista della recente Pantera Rosa) e da un giovanissimo Keanu Reeves (sì, quello di Matrix!). Ogni famiglia con le sue imperfezioni, che si ingigantiscono quando vengono affrontate in ambiti ristretti, e si disciolgono quando si esprimono in contesti allargati. Molto educativo. Gran bel film di Mike Leigh del 1996, che si snoda in maniera sensibile e delicata tra i segreti di una fami- glia. Tutto parte da Hortense, donna borghese di colore che – alla morte della sua madre adottiva – si mette alla ricerca del suo passato. Si entra così in un castello di segreti e bugie che si teneva in piedi sull’incomprensione reciproca generando diffidenza e malessere. Il coraggio, ma anche l’umiltà e l’empatia di Maurice, fotografo sposato e senza figli, riuscirà in un lungo pranzo a svelare i segreti e a far riguadagnare la serenità a tutta la famiglia. Dolcissima cura della morte. Departures (Yojiro Takita, 2008) è un film geniale, ironico, dolce e profondo. Il violoncellista Daigo si trova improvvisa- mente disoccupato in seguito allo scioglimento dell'orchestra nella quale suonava da anni, e così decide di tornare, con la moglie Mika, nel suo paese natale. Sfogliando il giornale, trova un annuncio che cattura la sua attenzione: "Assistiamo coloro che partono per dei viaggi"; convinto che si tratti di un'agenzia di viaggi, telefona e fissa il colloquio. Ma presto Daigo scopre che l'agenzia non si occupa di viaggi, bensì dell'ultimo viaggio. Le vicende del “tanatoesteta” (“abbel- litore della morte”) che deve affrontare l’iniziale imbarazzo per un lavoro così atipico, la repulsione della moglie e le minacce del suo amico d’infanzia, ci accompagnano durante il film in un sapiente intrecciarsi tra il suono dolce e sacro del violoncello, i suoi movimenti sempre più preci- si e discreti, e il suo avvicinamento al tema tabù della morte. E un viaggio dentro di sé, alla riscoperta del legame con un padre che lo aveva abbandonato. In famiglia ma soli. Una famiglia apparentemente normale ed unita quella nella quale entriamo nel film Ricordati di me (Muccino, 2003). Ma il clima è di nevrotica e angosciante normalità. Perché? Perché Carlo, il padre, che voleva diventare uno scrittore, lavora per una società di assicurazioni; Giulia, sua moglie, è una professoressa di lettere che aspirava a diventare attrice; Paolo, il figlio, è il solito insicuro che non riesce a dichiararsi alla ragazza che gli piace; Valentina desidera diventare una velina ad ogni costo. Ognuno chiuso nel suo mondo in bilico tra la realtà e l’illusione. La situazione precipita quando Carlo incontra la sua vecchia fiamma. Da quel momento Giulia cadrà nella disperazione più totale. Molto intense le scene del conflitto coniugale che prorompe in primo piano mentre i due figli – annebbiati e confusi sullo sfondo – sono lasciati soli in balia delle loro intemperanze adolescenziali. Lavoro da fuori di testa. Le vicissitudini di una neolaureata nell’universo del lavoro precario. È il filo conduttore dell’interessante Tutta la vita davanti (Virzì, 2008). Marta è una ragazza colta che trova lavoro nel call-center di un’azienda che commercializza un elettrodomestico tuttofare (e difettoso), e si avventura così nel mondo assurdo e grottesco di giovani avvenenti telefoniste, venditori invasati quanto i loro superiori, danze motivazionali, jingle aziendali, premiazioni e penitenze. Uno sguardo a volte feroce e a volte sapientemente ironico, quello di Virzì, che presenta in modo iperbolico ma purtroppo molto realistico le assurdità del moderno mondo del lavoro, visto con gli occhi divertiti e sgomenti di una giovane filosofa. Un film consigliato ai genitori dei ragazzi alle soglie della maturità; da guardare con occhio critico per coglierene le esagerazioni ma anche gli spunti acuti che offre, e per metterci in guardia. Uomo e donna in armonia. La forza e la dolcezza, lo Yin e lo Yang, modi diversi di definire due principi come il maschile e il femminile. È il tema di fondo che percorre trasversalmente la trama di Mulan II, cartone della Disney del 2004 che segue il già fortunato Mulan del 1998. Coloro che dovranno conquistare il reciproco amore sono la principessa Mulan e il generale Shang. L’imperatore li perché scortino le sue tre figlie, le Principesse Mei, Ting Ting e Sue, attraverso la Cina e si sposino con tre principi del Qui Gong, così che tra i due paesi si formi un'alleanza. Il cartone si snoda quindi tra l’amore e il conflitto dei protagonisti – il tutto naturalmente condito da una buona dose di ironia – e l’invaghimento che nasce tra le tre principesse ed i soldati che le scortano. Il film quindi è motivo di riflessione anche sui matrimoni combinati, la lealtà, le relazioni di coppia, la responsabilità delle proprie scelte. Insomma, cartone da godersi con i più piccini, ma i grandi nel frattempo possono leggerlo anche a livelli più profondi. This is your new blog post. Click here and start typing, or drag in elements from the top bar.
RICERCA DI RELAZIONI E DI SPIRITUALITA' Il sempre bellissimo Richard Gere è un ebreo studioso di religioni, padre perfetto in una famiglia perfetta: alto-borghesi, spirituali e molto uniti fra loro. Il figlio maggiore Aaron, sta seguendo le orme del padre. La più piccola in famiglia Eliza, di undici anni, invece ha un talento naturale per lo spelling, al punto di qualificarsi alle finali del torneo nazionale. Questo rende il padre cosi orgoglioso di lei, da farlo concentrare sulla figlia come non aveva mai fatto prima, togliendo attenzioni ad Aaron, e alla moglie Eliza. Parole d’Amore (Scott McGehee, David Siegel, 2005) è un film interessante per almeno un paio di livelli di lettura: il bisogno di ordine nelle relazioni familiari, e la ricerca della dimensione spirituale. Chi in maniera razionale (il padre), chi in maniera adolescenziale (il figlio Aron), chi tende all’esagerazione (Miriam) e chi riesce ad avvicinarsi a Dio con una relazione mistica (Eliza) che le darà la saggezza che gli adulti non avevano. |
AUTOREMarco Scarmagnani CATEGORIE ARTICOLI
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