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MAI CONTENTO!

18/2/2011

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«VOGLIO DI PIÙ! ... E NON MI BASTA MAI!» CANTAVA IL PRIMO JOVANOTTI. UN PROBLEMA DI INSODDISFAZIONE DI GRANDI E PICCINI. COME POSSIAMO RIEMPIRE IL VUOTO?


"Ciao, ho appena letto la tua risposta “Paura del futuro”, ho avuto una illuminazione. Mio figlio di 6 anni, è così: "Fagocita tutto e non è mai sazio". È il nostro primogeni- to, poi abbiamo altri due figli. Quando è nato con noi c'erano già altre persone che avevamo accolto. Da un po' di tempo è molto arrabbiato, come quando ero incinta del terzo figlio, e un giorno, ha detto che io non ho mai tempo per lui. In coscienza non credo sia vero. Ha iniziato piangendo perché non voleva andare a scuola, un giorno abbiamo dovuto vestirlo di forza. In realtà quando frequenta la scuola, catechismo, nuoto, è contento, ma quando è ora di andare, una tragedia. Ma soprattutto non è mai sazio. Due Natali fa, dopo aver scartato 6 regali, si è messo a piangere perché non aveva più pacchetti da scartare, dall'anno dopo ho proibito a tutti di fargli regali in modo tale che a Natale arrivasse un solo regalo, entrambi gli anni i bimbi sono stati contenti di quel momento. In realtà i miei figli ricevono un sacco di regalini e schifezze varie in continuazione e questo per me è frustrante: loro sono pieni di cose, non le apprezzano e io faccio la parte della cattiva. A tavola hanno sempre da ridire... mi spiace di non riuscire a trasmettere ai miei figli i valori in cui credo e soprattutto vedere il grande infelice».

Ho lasciato quasi al completo la tua lunga mail perché ci fa entrare bene nel pathos, nello svolgersi anche emotivo della tua preoccupazione. Rilevare un disagio, interrogarsi, cercare delle strategie di soluzione, rivederle e chiedersi l’atteggiamento più adatto, andando sempre più a fondo. Poco importa che la carenza di attenzioni che ti rimprovera tuo figlio sia reale. L’importante è non lasciarlo solo e travolto dal sentimento. Legittimare un sentimento non significa approvarlo. Accogliete questo suo bisogno di avere di più (in cose o in affetto, che poi, come hai capito bene, sono collegate), stategli vicino e fategli capire che sentite quanto soffre. E allo stesso tempo offritegli il vostro supporto e la vostra esperienza per tollerare questa frustrazione.

Accoglienza e confine, l’abbiamo detto più volte. Solitamente queste due funzioni si spartiscono rispettivamente tra mamma e papà. Voi trovate l’assetto più congeniale alle vostre personalità. È un tema che ritornerà per tutta la vita, e che molti adulti – quelli ch non sono mai sazi di cibo, di lavoro, di soldi – ancora non hanno risolto.

In realtà è un bisogno esistenziale, una ricerca di senso, di infinito, che né le persone (limitate), né le cose (effimere) possono colmare.
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IL FILM: LA GUERRA DI MARIO

2/2/2011

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La guerra di Mario (Antonio Capuano, 2005) parla di un ragazzino difficile, con un passato di violenze, che proviene da una zona degradata alla periferia di Napoli. Viene affidato ad una coppia benestante. La mamma (Valeria Golino) è convinta che “Mario non vuole essere educato, ma accolto” e così il film si gioca in una contrapposizione tra la necessità di educare e quella di lasciare libero. Ma chi l’ha detto che le regole in educazione siano solo una gabbia che limita la libertà? Educare significa anche contenere, condurre, indirizzare al bene. L’assenza di limiti, anche nel film, è un fallimento educativo.

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AIUTO! I COMPITI!

1/2/2011

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LA SCUOLA PUÒ DIVENTARE UN’ANSIA, PER I FIGLI MA ANCHE PER I GENITORI. E I COMPITI PER CASA? È GIUSTO AIUTARLI O È MEGLIO CHE SI ARRANGINO?


Parafrasando Beppe Grillo si potreb- be dire che la generazione attuale è l’ultima che si preoccupava per i propri compiti (per evitare il rimprovero dei genitori) e la prima che si preoccupa per i compiti dei propri figli (per evitare il rimprovero degli insegnanti).

Reti di mamme che intasano le linee telefoniche pomeridiane per confrontarsi su esercizi, interrogazioni, interpretazioni dei diari, ed eserciti di padri che tornando stanchi dal lavoro sull’uscio si chiedono: «Sarò capace stasera di risolvere il compito di matematica di mio figlio?».

Perché poi ci saranno i ricevimenti: quegli stessi genitori che da piccoli aspettavano terrorizzati, implorando pietà, papà che tornava dal colloquio, adesso si ritrovano davanti al professore, con trent’anni in più, come in tribunale. E gli imputati sono sempre loro.

Immagine volutamente fantozziana, sicuramente non è così per tutti ma lo è in molte famiglie, tra le quali quella di Ilaria la quale ci scrive che «purtroppo sono ricominciate le scuole e con le scuole l’incubo. Già c’erano state le prime avvisaglie a fine agosto. Ci siamo accorti che era quasi passata l’estate e che nostro figlio Luca, che quest’anno va in quinta elementare, non aveva ancora iniziato i compiti delle vacanze. E allora io e mio marito ci siamo dati i turni per seguirlo. Adesso sarà tutti i giorni così, perché se non lo faccio io lui è un irresponsabile e andrebbe sempre a scuola con qualcosa da fare. Eppure è un ragazzo intelligente e questo mi dà ancora più rabbia. A volte dimentica i quaderni, e allora via a fare le fotocopie dai suoi compagni. Mio marito è piuttosto seccato da questa situazione perché in casa non c’è pace, tutte le sere i compiti da finire. Ma io, che a scuola ero sempre diligente, perché mi merito un figlio così?».

So poco di te, Ilaria, ma una pista potrebbe essere questa: semplicemente avete motivazioni diverse.

Perché tu eri diligente? Solo perché ti piaceva applicarti o anche perché avevi paura dei giudizi negativi? Perché i tuoi erano severi? Perché studiare rappresentava un modo di riscattarti e di avere una buona posizione sociaLe? Magari ora, tuo figlio, non ha nessuna delle motivazioni che spingevano te. Lui ha tutto, e ha pure chi si preoccupa al posto suo.

Di chi è il problema? In questo momento dei genitori che hanno preso il posto del figlio, impedendogli di apprendere la fatica, il gusto di applicarsi, di apprendere e di farcela, la consapevolezza delle proprie capacità, che passano anche attraverso qualche fallimento. Altro è aiutare, altro è sostituirsi.
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IL FILM: PARENTI, AMICI E TANTI GUAI

1/2/2011

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È un film un po’ vecchiotto (1989, diretto da Ron Howard), e anche piuttosto leggerino ma molto interessante, che mette in scena in forma di commedia le relazioni familiari, parentali e allargate. Interpretato da un delizioso e ironico Steve Martin (il protagonista della recente Pantera Rosa) e da un giovanissimo Keanu Reeves (sì, quello di Matrix!). Ogni famiglia con le sue imperfezioni, che si ingigantiscono quando vengono affrontate in ambiti ristretti, e si disciolgono quando si esprimono in contesti allargati. Molto educativo.

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MA DOV'E' PAPA'?

1/2/2011

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DIRE SEMPRE LA VERITÀ AI BAMBINI? ANCHE QUANDO È SCOMODA? ANCHE QUANDO È IMBARAZZANTE? PICCOLE E GRANDI BUGIE DETTE AI FIGLI “A FIN DI BENE” RISCHIANO DI RITORCERSI CONTRO I GENITORI, CREANDO DANNI ALLA FIDUCIA NELLE RELAZIONI


Mio figlio Manuel di 7 anni – scrive Elisabetta – da un po’ mi chiede con insistenza di vedere suo padre. Le dico la verità, per me con lui è finita, mi sono separata 5 anni fa, e da allora il piccolo non l’ha più visto. Gli è stata anche tolta la patria potestà ed ho saputo che adesso è in una comunità, ma non mi pare il caso di dirlo a Manuel, altrimenti poi lo saprebbe tutto il paese». Ma come giusti- fica una assenza così protratta? «Gli dico che è al lavoro – scrive più avanti – che sono stanca e che quando saremo liberi andremo a trovarlo. Insomma continuo ad inventare scuse». Ma la curiosità di Manuel diventa un tarlo, infatti «le maestre hanno chiesto di dire cosa avrebbe voluto fare da grande e lui ha risposto: “Mi compro una moto e vado a trovare il papà”».

Non è per niente semplice, cara Elisabetta, ma la linea che stai tenendo, certamente in buona fede, ti renderà col tempo sempre più imbarazzata nei confronti di Manuel. Ogni figlio, lo diceva spesso anche don Oreste, ha un bisogno insopprimibile di conoscere i suoi genitori. Nulla lo potrà fermare, e alla sua età capisce al volo che qualcosa non quadra. «Perché tutti gli altri bambini vedono il papà e io no? Perché anche quelli che lavorano lontano ogni tanto tornano? Forse io non sono bravo?». Capisci, Elisabetta, questi potrebbero essere i pensieri che piano piano si formano nella sua mente, e il fatto che non si possa permettere di farti domande, perché le tue risposte sono evasive, crea in lui un peso difficile da sopportare. Pensa poi alla sfiducia che potrebbe avere verso di te e verso le persone che gli stanno intorno se venisse a saperlo da altri: «Perché non mi avete detto nulla? Perché mi avete mentito?»

La verità, detta con amore e in maniera consona all’età, non potrà mai far male quanto le fantasie che riempiono il vuoto del padre che gli manca.

Forse non trovi il coraggio, perché anche tu sei sola e
confusa. Fatti dare una mano da qualcuno di cui ti fidi. Prova, come un copione, ad abbozzare un discorso per dirgli qualcosa. Vedrai che subito ti sembrerà di non trovare le parole, ma poi sarà più facile di quanto immaginavi. Comincia con qualcosa del tipo: «Il Giudice, che vuole bene ai bambini, ha visto che il tuo papà non era in grado di essere un buon papà perché non stava bene. Adesso si sta facendo aiutare e non è possibile che tu lo veda. Però anche lui vorrebbe vederti, e ti vuole bene, come te ne voglio io, i tuoi nonni, le maestre, i tuoi amici».

Con la tua sensibilità, aggiungerai negli anni altri parti- colari. Vedrai che per lui sarà un sollievo, e anche per te.
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VIVERE IL LUTTO

1/2/2011

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IL DOLORE PER IL DISTACCO DA UNA PERSONA CARA. TRA IL SOFFOCARLO E L’ESPLODERLO STA DI MEZZO IL VIVERLO. CON MESTIZIA E UMILTÀ, ALLA SCUOLA DELLA COMPASSIONE

"Da quando è morta mia madre il tempo pare essersi fermato. Viveva in casa con me, mia moglie e in nostri due figli da quindici anni ormai, da quando era rimasta vedova. Siamo credenti, quindi sappiamo che la nonna ci attende in cielo, ma questo non ci è di conforto, anzi. Ogni giorno che passa – sarà anche l’autunno – si fa sempre più buio. 

Soprattutto mio figlio più grande, che quest’anno fa la quinta superiore, è diventato scuro e taciturno. Eppure, quando era viva, e anche al funerale, sembrava molto sereno. Per quanto durerà questa tristezza? Mi sento molto inquieto».

Durerà finchè non sarà passato il tempo del lutto. “Lutto” deriva dal latino luctus, lugeo, che significa letteralmente “piangere”. È un lamento che parla e che deve essere ascoltato, così che l’esperienza del dolore, della perdita possa essere condiviso e diventi un patire con, una com-passione. È partecipandoci il lutto che si condivide il dolore nostro e degli altri, che diventa allora “com-patibile” con la nostra natura umana.

Un cerchio – quello della perdita, dolore, lutto, compas- sione – un movimento allora che spezza le catene dell’im- mobilità, del «tempo che pare essersi fermato».

L’elaborazione del lutto non è cosa semplice, e non è cosa che si possa spiegare, perché si tratta di un’esperienza. Esperienza dolorosa, certo, ma intimamente e squisita- mente umana. Per quanto cerchiamo di distrarci, o cer- chiamo conforto nelle relazioni con gli altri o con l’Altro che dà significato alla nostra esistenza, non possiamo mai togliere del tutto questo dolore che ci scava nella profondità dell'essere.
È la perdita di una persona cara, che ha a che fare con i
nostri vissuti di separazione e la paura del cambiamento. In una famiglia un lutto è un cambiamento estremo per- ché obbliga a pensare immediatamente a tutte le relazioni “senza” quella persona, che aveva un posto preciso, un ruolo, una serie infinita di legami affettivi.

Ecco quindi i sentimenti di rabbia, di disperazione, di storidimento.

In una società come la nostra, che tende a negare o a spettacolarizzare la morte, si è perso il senso del lutto. Non siamo padroni della vita come non siamo completamente padroni delle nostre emozioni di fronte alla morte.

Le possiamo condividere, come puoi condividerle con quel tuo figlio che parla attraverso il suo silenzio, e fare in modo che – come le foglie che cadono diventano feconde per il terreno – così anche il dolore di questa morte diventi fecondo per i legami che continuano nella vostra casa.
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MIA FIGLIA NON HA AMICHE

1/2/2011

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DURANTE L’ADOLESCENZA – SI SA – I COETANEI GIOCANO UN RUOLO IMPORTANTISSIMO PER RINFORZARE L’AUTOSTIMA. MUOVERSI CON DESTREZZA ALL’INTERNO DEL GRUPPO DEI PARI AD ALCUNI NON RISULTA SEMPLICE. CHE FARE?



"Tutto sommato è una brava ragazza, a scuola ha dei buoni voti, ma la vedo sempre più chiusa. Le insegnanti mi dicono di non preoccuparmi, ma io la vedo che è triste, qualche volta la porto via con me». È raro vedere un padre, affermato professionista, che si preoccupa per la figlia tredicenne. Solitamente sono le mamme... ma lui ha voluto venire da solo. «E sua moglie che dice?». «Ah, guardi, questa è la cosa che ci fa più litigare, quando parliamo di Anna ci sono sempre contrasti. Lei mi accusa di essere poco presente, di lavorare troppo».

«Secondo lei sua figlia ha preso più dal papà o dalla mamma?».

«Beh, il suo carattere è decisamente più simile a quello di mia moglie: un po’ riservata, direi quasi chiusa. È mio figlio, quello più piccolo, che assomiglia più a me. A sette anni è già il leader della classe, continua a fare proposte, è invitato a tutte le feste di compleanno... ah, i compleanni, la settimana scorsa Anna non è stata invitata ad una festa... non ci ha detto niente, ma io ho visto che c’è rimasta malissimo. Anche domenica scorsa alla fine della Messa, io vedevo che cercava di avvicinarsi, ma ha un at- teggiamento impaurito... chi vuole che la accetti così?».

Ma che bel cerchio! Mamma vede che la figlia è in dif- ficoltà, si identifica e sente di non avere strumenti da passare, forse si sente immobilizzata come era alla sua età... allora coinvolge il padre, uomo sicuro di sé ma quasi irraggiungibile. Lui è un maschio, anche volonteroso, mapoco incline a sintonizzarsi. Anna sentirà mamma incapace
e papà troppo avanti, probabilmente anche a causa di alcune frecciatine che volano nell’aria più o meno velate: «Ma non vedi che è come te? Datti una svegliata!» dirà probabilmente lui, e lei«Te l’avevo detto, con tutto il tem- po che passi a lavorare i figli ci rimettono, tu ci trascuri!». Come sempre, trasformare la differenza in risorsa è il lavoro più difficile ma più affascinante, perché toglie dall’immobilismo, libera da una colpa bloccante e resti- tuisce ad ogni genitore la propria responsabilità (abilità
a dare una risposta). Mamma aiuti papà a sintonizzarsi sulla debolezza della figlia senza spaventarsi, a non darle solo soluzioni “da vincente” ma soprattutto vicinanza, incoraggiamento, stima. E questo potrà farlo prima di tutto colmando di stima sua moglie. Papà aiuti mamma a distinguere tra lei e la figlia, sostenga e rassicuri sua moglie. Lei inviti il marito ad essere più presente ma evitando le colpe... lui ha bisogno di sentirsi un eroe. Solo con questi passi, Anna si sentirà riarmonizzata e più predisposta all’incontro con le amiche.
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FIGLI ETERNI

1/2/2011

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FINO A CHE ETÀ SI RIMANE “FIGLI”? FINO ALL’INDIPENDENZA ECONOMICA? O FINO ALL’USCITA DI CASA? O FORSE FINO ALLA MORTE DEI GENITORI E OLTRE? MA ESSERE FIGLI NON VUOL DIRE “FARE I RAGAZZI”


"Pronto dottore – all’altro capo del telefono una voce femminile elegante e pacata – vorrei prendere un appunta- mento con lei perché ho problemi con i miei figli».

«Va bene signora, viene da sola o con suo marito?», intan- to raccolgo le prime informazioni. Attimo di silenzio: «Mio marito? Ah, no no, vengo solo io... le dirò».

Tutto potevo aspettarmi meno che la donna che mi si presentava davanti avesse la bellezza di 68 (!) anni. Alla faccia dei figli! 40 anni il più giovane e 44 la figlia mag- giore. Entrambi in casa, entrambi con lavori precari, en- trambi con delusioni amorose alle spalle.

Altra scena: mamma 60enne viene ansiosa per quel figlio 35enne che – una volta licenziato – si è «buttato giù e adesso non va nemmeno più a cercar lavoro. Passa le giornate a letto o davanti al televisore, poi sta un paio d’ore in bagno a lavarsi, curarsi e vestirsi bene, ed esce. Tutte le notti rientra alle 3, alle 4... quando va bene».

Figli del ricco Veneto. Figli che negli anni 80 e 90 guida-vano orgogliosi neopatentati il fuoristrada di papà. Figli di genitori che hanno sgobbato una vita per mettere a regime un’impresa familiare che ha dato una sicurezza economica insperata. Il miracolo del nordest!

A scuola molti non avevano nemmeno bisogno di im- pegnarsi perché – tanto – qui il lavoro non è mai manca- to, il posto assicurato nell’azienda o nello studio di papà, e se rompe si trova comunque un lavoretto ben pagato e con buone prospettive di carriera.
Ma i tempi cambiano e gli ultimi anni sono piuttosto sfavorevoli. L’attività di papà si è spenta con lui; quando ha raggiunto la pensione, nessuno ne ha raccolto l’eredità, e anche le imprese degli amici non cercano personale. Restano le belle ville semideserte, i genitori anziani, e quel gruzzoletto che permette di dire che – sì, va male – ma non così male da essere alla carità.

I genitori non hanno più forza, i figli non l’hanno mai allenata. E così si ferma la ruota, quel ricambio generazio- nale che da millenni fa della famiglia un’organismo vitale che si rigenera continuamente.

«Eh, dottore. Sa, è triste morire senza nipotini...» o «Vorrei almeno avere la soddisfazione di vedere i miei figli sistemati». È comune sentire una nebbia di tristissima immobilità che avvolge alcune famiglie al declino. Genitori con gli anni che avanzano e figli ormai canuti che si atteggiano da eterni 18enni.

Cambiare stile a 40 anni è molto più difficile che a 18.
Chi li salverà? E se fosse proprio questa crisi economica a dare in modo drammatico lo scossone di cui c’è bisogno?
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BOCCIARE PER RILANCIARE?

1/2/2011

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FARLE RIPETERE L’ANNO PER CONSOLIDARE L’APPRENDIMENTO O MANDARLA AVANTI CON LA CERTEZZA CHE L’ANNO PROSSIMO SARÀ UN SICURO INSUCCESSO? I DUBBI DI GENITORI ED INSEGNANTI

"La sua vita non è stata facile – mi dicono il papà e la mamma – è stata in istituto in un paese dell’est fino ai 3 anni. Quando è venuta da noi i dottori ci hanno detto che ormai aveva delle lacune che sarebbero state difficili da colmare. Noi le abbiamo sempre voluto bene e abbiamo fatto i salti mortali. Psicomotricità, lezioni private, abbiamo una maestra che viene tutti i giorni solo per lei, ma a scuola non ha ancora ingranato e non è certo al passo con i suoi compagni».

La ragazzina in questione quest’anno frequenta la quinta elementare. Genitori ed insegnanti si rendono ben conto che è molto in difficoltà, solo che ultimamente le parti si sono invertite.

«Se in tutti questi anni noi siamo diventati un po’ gli avvocati di questa nostra figlia – continuano – e quindi abbiamo sollecitato sempre le maestre ad avere un occhio di riguardo e di capire la situazione, adesso loro la vogliono promuovere e invece noi siamo indecisi se fermarla. Non è una scelta facile, litighiamo spesso per questo fatto – dice la signora – lui mi accusa di essere troppo apprensiva ma io penso che è lui che non capisce il disagio della bambina».

E così i genitori si sentono sulle spalle una scelta più grande di loro. Il pensiero che si fa strada dentro di loro è che le maestre si vogliano “liberare di un caso difficile” e in loro scatta la paura che il prossimo anno alle medie lo scarto sia ancora maggiore e la ragazza possa essere mag- giormente umiliata.

D'altra parte, nota il papà, è una ragazza che si è sviluppata in fretta. Già adesso è la più alta della classe, «te la immagini l’anno prossimo, se la lasciamo qui, che figura in mezzo a bambine che potrebbero quasi sembrare sue figlie?». La scelta non è facile, che criteri adottare? La psicologia e la pedagogia che cosa ci dicono? Da una parte che è opportuno evitare ai ragazzi in crescita frustrazioni e sconfitte inutili, dall’altra che devono essere rispettati i tempi di ognuno.

Non penso ci sia una risposta valida in generale per un tema delicato come questo. Penso valga la regola generale di coinvolgere l’interessata.

Certo, non le si può fare la domanda secca: «Che ne dici, ti facciamo bocciare o ti mandiamo avanti?»

Si può però, attraverso un dialogo semplice ma profondo, provare a tastare la sua sensibilità per capire dove è maggiormente orientata, dove si sentirebbe più a suo agio.

Certo, nessuno si può prendere una responsabilità così grande da solo, ma condividerla può rendere la scelta più saggia.
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IL FILM: PAROLE E AMORE

1/2/2011

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RICERCA DI RELAZIONI E DI SPIRITUALITA'


Il sempre bellissimo Richard Gere è un ebreo studioso di religioni, padre perfetto in una famiglia perfetta: alto-borghesi, spirituali e molto uniti fra loro. Il figlio maggiore Aaron, sta seguendo le orme del padre. La più piccola in famiglia  Eliza, di undici anni, invece ha un talento naturale per lo spelling, al punto di qualificarsi alle finali del torneo nazionale. Questo rende il padre cosi orgoglioso di lei, da farlo concentrare sulla figlia come non aveva mai fatto prima, togliendo attenzioni ad Aaron, e alla moglie Eliza.

Parole d’Amore (Scott McGehee, David Siegel, 2005) è un film interessante per almeno un paio di livelli di lettura: il bisogno di ordine nelle relazioni familiari, e la ricerca della dimensione spirituale. Chi in maniera razionale (il padre), chi in maniera adolescenziale (il figlio Aron), chi tende all’esagerazione (Miriam) e chi riesce ad avvicinarsi a Dio con una relazione mistica (Eliza) che le darà la saggezza che gli adulti non avevano.


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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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    che scrivo su Sempre
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