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IL FILM: BEE MOVIE

22/2/2011

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Integrati o alternativi.
Bee Movie (Hickner e Smith, 2007) è un film d’animazione in computer grafica candidato al Golden Globe come miglior film d’animazione. Si può naturalmente vedere con tutta la famiglia ed è una splendida metafora della tensione dinamica e feconda tra i propri sogni e le esigenze familiari e sociali. 
Racconta di un’ape di nome Barry Bee Benson amareggiato quando vede che ha una sola possibilità di carriera: produrre miele. Alla ricerca di nuove prospettive si avventura fuori dall’alveare ed infrange una delle regole fondamentali: parla con un’umana, la fioraia Vanessa Bloom. Barry rimane sconvolto nell’apprendere che gli umani mangiano da secoli il miele delle api, e decide di intentare una causa contro la razza umana per il furto del miele. Barry e Vanessa però presto scoprono che, una volta tornato il miele di tutto il mondo alle api, queste non hanno più un lavoro, e che senza l’impollinazione i fiori e tutta la vita vegetale è destinata a morire così come tutta la vita sulla Terra vista la mancata produzione di ossigeno.

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PAURA DEL FUTURO

22/2/2011

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SCEGLIERE È LIBERTÀ, MA SCEGLIERE NELL’INDECISIONE È ANGOSCIA. COME FARE CON UN GIOVANE CHE SI DISPERDE RISPETTO AL SUO PROGETTO DI VITA?

"Ma porc... gli mancano 5 esami e adesso vuole mollare tutto. Gli abbiamo dato un anno nel quale non ha fatto un tubo. Pensavamo un periodo di crisi, ma adessso, dopo che l’abbiamo mantenuto per una vita a studiare, vuole cercarsi un lavoro. Di questi tempi poi, chi vuole che lo prenda. Magari a fare il muratore».

«... E che ci sarebbe di male?» provoco un po’.

«Beh, guardi, non sarebbe nemmeno quello il problema, se poi lui fosse felice. Ma un giorno vuole fare l’in- gegnere, adesso voleva fare l’avvocato, ma poi si chiede se non è meglio fare teatro ed “esprimere il suo talento”, non so quanta confusione c’ha in testa quello lì».

Quanti giovani universitari, speranza di mamma e papà, fanno a gara per deludere le aspettative e proiettarsi in un buco di depressione, oppure saltare di entusiasmo in entusiasmo, con una rapidità che si trasforma in effimero, perché il cambiamento è troppo rapido per lasciare traccia. E allora ansia e panico... il timore di disperdersi.

Figli dell’occidente. Figli della cultura dove fagocitiamo tutto e non siamo sazi: cibo, oggetti, progetti.

Hanno ragione gli antropologi, quando ci spiegano che in una società primitiva, senza alcuna possibilità di scelta, la percezione è di avere tutto, di non mancare di nulla.

Oggi noi abbiamo molte più cose, ma allo stesso tempo sono infinite quelle che non abbiamo. Quindi, al confronto, non abbiamo nulla. Per quante cose possediamo, sentiamo che di più ce ne mancano. Per quanti titoli abbiamo, sentiamo che non sono mai abbastanza per rassicurarci.E allora scegliere, da attività liberatoria, diventa angosciante. Perché scegliere, decidere, ed esprimere se stessi nella libertà, scivola velocemente nella scelta che diventa perdita, perdersi.

Le crisi spesso arrivano a pochi passi da un traguardo. Perché mentre si vede la meta sale nello stomaco una domanda: «... e poi?».

I genitori si trovano disarmati o perché non l’hanno dovuta affrontare, e quindi non capiscono questo figlio che “ha tutto ma non è contento di nulla”; oppure perché, in fondo, l’hanno dovuta affrontare ma non l’hanno digerita.

E così questo turbamento di stomaco riattiva quello di un genitore, o di entrambi, che vogliono far tacere l’inde- cisione del figlio per far tacere la loro.

Attraversare insieme la palude nebbiosa.

Questo è il viaggio da fare, facendo certo attenzione alle insidie che stanno sotto i piedi, ma soprattutto alzando spesso lo sguardo per tenere fissa la direzione.

Che ne dite di una semplice discussione tipo: «Quali sono le cose per cui viviamo? Quali sono i nostri valori?»

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GITA SI, GITA NO

22/2/2011

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A nostra figlia Lia, di 13 anni, è stato proposto dalla scuola di fare un gemellaggio a Berlino con altri 11 compagni. Non conosciamo le famiglie. Ho manifestato la mia preoccupazione e sono stata criticata sia da mio marito Andrea che da Lia, che ha trovato in mio marito un valido alleato per quest'esperienza che la esalta. Ma che fa Andrea? Le dà i soldi e le firma l’autorizzazione.

È scattata in me una grande rabbia. Mi sono sentita svalutata e ho recepito in mia figlia un messaggio del tipo «mio papà è un grande e tu mamma non vali nulla».

Ora la decisione è stata presa. A Lia ho detto che sono contraria perché le voglio bene e che alle volte dire di no costa molto di più che un semplice sì.

Katia - via mail



Non ti sei sentita presa in considerazione per le tue preoccupazioni; poi, una potente alleanza padre-figlia ti ha messo in scacco e tu ti sei trovata fuori gioco. Ci credo Katia che sia scattata in te una grande rabbia!

Che sta succedendo? Sì, perché qui non si tratta di capire se mandare o meno Lia in Germania, ma di capire come sono strutturate le relazioni in casa tua e come vengono prese le decisioni. Visto che non vi conosco, la prima domanda che ti farei è: «Ma come hai potuto permetterlo?» e immagino che sarà anche la domanda che ti fa più arrabbiare. 

In un rapporto a due infatti sappiamo che uno prende spazio dove l’altro lo cede. Può allora essere che in questo momento la relazione con tua figlia tredicenne non sia molto facile, e che tu abbia delegato un po’ a tuo marito.

Solo che poi lui si lascia prendere un po’ la mano, e prende un’iniziativa unilaterale. «Papà è un grande e tu mamma non vali nulla», ed ecco qui ti dai da sola una risposta, condividendo con molta trasparenza questo sentimento di inadeguatezza che viene da lontano.
Katia, penso che tu debba al più presto chiarire con tuo marito i confini del vostro rapporto, e del vostro essere genitori, e le modalità con le quali prendere le decisioni.
Le alleanze "in verticale" tra un genitore e il figlio, sono pericolose perché danno un apparente senso di onnipotenza al quale seguirà una forte insicurezza.

La forza per farlo tu ce l’hai sicuramente, considerata la lucidità con la quale non hai mollato ma sei tornata alla carica da tua figlia per spiegarle l’amore insito nella tua preoccupazione di mamma.

E penso anche che la relazione con tuo marito abbia delle grandi potenzialità, in quanto nella modalità piuttosto infelice con la quale avete condotto questa faccenda, c’è comunque un certo ordine: una madre giustamente preoccupata per la giovane figlia e un padre giustamente entusiasta per l’avventura. Siete i due lati della stessa medaglia.

Fate in modo che le vostre differenze, che adesso vi fanno soffrire, diventino uno scambio fecondo di conoscenza reciproca.
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IL FILM: GLI INCREDIBILI

22/2/2011

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Gli incredibili – Una normale famiglia di supereroi (Bird, 2004)
 
è un divertentissimo cartone della Pixar, ideale per una visione in famiglia con bambini di tutte le età. Ma il divertimento è assicurato anche per gli adulti.
 
C’è Mr Incredible e sua moglie Elasticgirl, splendida metafora della forza maschile e dell’elasticità femminile rispetto alle situazioni familiari. C’è Violetta, adolescente schiva e scontrosa con la mamma, c’è Flash tipico ragazzino iperattivo che provoca la sorella, Jack- Jack l’infante sbrodolone. Tutti dotati di superpoteri che devono nascondere, e tutti alle prese con una sorta di crisi di identità, e con i problemi relazionali delle famiglie “normali”. Il rapporto di coppia da rilanciare ed il rapporto genitori-figli con contrasti educativi annessi.

Meraviglioso il bisticcio tra i coniugi – intorno al minuto 24 – sulle divergenze educative rispetto al figlio Flash, con le visioni opposte di mamma e papà. E meraviglioso anche come spiegano ai figli del loro contrasto. Veramente molto educativo.

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IL CORPO CHE PARLA

22/2/2011

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LA VOLTA SCORSA ABBIAMO INIZIATO – SU SOLLECITAZIONE DI MARIELLA – A PARLARE DI EMOZIONI. LE EMOZIONI FONTE DI CONOSCENZA DI NOI, DEGLI ALTRI, DEL MONDO. MA COME UTILIZZARLE?

Ogni emozione è lecita, dicevamo. La rabbia e la paura, la tristezza e la gioia, la sorpresa e l’attesa, il disgusto e l’accettazione, tanto per riferirci a quelle considerate “primarie”. È quello che facciamo di conseguenza alle nostre emozioni casomai da tenere sotto controllo, perché su quello esercitiamo sempre la nostra facoltà di scelta. Se così non fosse saremmo esseri solamente in grado di “reagire” a degli stimoli emozionali, e non ad “agire” intenzionalmente e consapevolmente.

E questo è il primo concetto, esposto la volta scorsa. Sì, ma come facciamo a riconoscere le nostre emozioni e quelle degli altri senza farcene travolgere?

Una via maestra è quella di ridare la giusta dignità al nostro corpo e alle sensazioni che ci restituisce. Spesso infatti tendiamo a mentalizzare, a razionalizzare tutto, e a pensare che si possa agire rettamente solamente con la forza del pensiero. Il pensiero è una grande capacità che abbiamo, ma se tralasciamo il nostro corpo, si sentirà trascurato e ce lo farà capire.

Se ad esempio sento una forte rabbia verso il mio coniuge, o i miei figli, ma non reagisco solo perché «so che non è giusto», probabilmente – nella migliore delle ipotesi – un’ulcera è in agguato.

E allora ascoltiamolo questo corpo, ascoltiamo il nostro stomaco che si contrae, le nostre viscere che si muovono, il nostro respiro che cambia ritmo, la sudorazione della pelle, i muscoli del volto che si contraggono inconsapevolmente.Ci sono corsi di formazione professionale e di crescita personale che enfatizzano questi aspetti, ma penso che, senza essere degli esperti, abbiamo già a disposizione dentro di noi molti strumenti.

Impariamo allora ad ascoltarci, perché già prendere coscienza dei movimenti che le emozioni suscitano li rende più dolci.

E quando abbiamo acquisito questa abitudine, alleniamoci anche ad osservare il corpo degli altri, dei nostri cari. Notiamo quando nostro figlio comincia a deglutire più velocemente o a muovere le gambe, perché stiamo toccando un tema che lo agita, osserviamo nostra figlia che cambia il ritmo del respiro, e con questo anche la colorazione della pelle. Notiamo quando il nostro partner si ritrae e si accartoccia quasi ad evitare i nostri ragionamenti.

E allora potremo anche giocare a far sentire meglio gli altri, e li rassicureremo affinché il loro respiro diventi più regolare, abbasseremo la voce per vederli distendersi. Impariamo così ad agire per il bene, anche fisico, di chi ci sta accanto. E ci guadagneremo tutti in salute!

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IL MIO MATRIMONIO E' UN CALVARIO

18/2/2011

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Gent. dott. Marco, sono sposata da 10 anni e per me il matrimonio, fin dal primo giorno, è stato un calvario. Mio marito è perennemente infastidito, si alza di malumore, ogni mia parola potrebbe scatenare la sua ira: a volte mi sento come un’equilibrista, in bilico su una corda sottile sopra un baratro; altre volte mi sento imprigionata in una strada senza uscita. Nonostante questo non ci siamo ancora lasciati, anzi, abbiamo provato ad andare da psicologi, terapisti familiari, preti che però non sono riusciti ad aiutarci. Io rimango convinta che mio marito necessiti di psicoterapia, ma lui non vuole. Vorrei che cambiasse l’atmosfera soffocante che ci impedisce di godere della reciproca compagnia e affetto. Cosa mi consiglia? 
                   Clelia - Treviso


Cara Clelia, quanta sofferenza nelle tue parole! "Un calvario, un baratro, una strada senza uscita". E quanta delusione per i tentativi falliti di dare una svolta alla vostra relazione. E quanta pazienza! Pazienza deriva da patior, che è la capacità di soffrire, ma ha anche la stessa radice di pathos, che è la capacità di sentire la gioia e il dolore che l’incontro con l’altro procurano. «Ma quale gioia? - dirai tu - qua sembra tutto un incubo». Hai ragione, tutti meritiamo rapporti sereni e amorevoli. Ciò che faccio fatica a comprendere, Clelia, e su questo vorrei eventualmente orientarti, è come tuo marito vive la tua riflessione. La condivide? La subisce? La pensa in maniera differente? Il fatto che non si capisca – ma è solo un’ipotesi – mi mette il dubbio che siate molto lontani nella "ricerca di senso" a dare alla vostra unione. Cioè, prima di intraprendere qualsiasi cammino, è necessaria una fase molto delicata di condivisione del problema e di definizione degli obiettivi di crescita personali e di coppia.

E se leggo che tuo marito ti ha seguito nei vari percorsi (molti mariti sono “trascinati” dalle mogli, è comune) quel tuo vederlo bene in psicoterapia è un qualcosa che mi sa da invio esterno, e ci credo che lui si ribelli. Ognuno vuole essere artefice del proprio cammino di crescita; è difficile da accettare Clelia, ma è così. Ma sei tu che scrivi e allora la domanda è: che cosa puoi fare tu? Chiediti: perché sono ancora così condizionata dal suo umore? Perché questa forma di dipendenza reciproca? Probabilmente avete creato un cortocircuito per cui tu ti aspetti qualcosa di buono, lui si sente pressato, non ci riesce, e allora si comporta sempre peggio. Pensa un po’ più a te stessa Clelia, dedicati tempo per trovare il tuo equilibrio e la tua pace, liberati da questa simbiosi. Solo così potrai amarlo veramente. E se, come fai intendere dalla lettera, lui ha meno strumenti di te, sarà questo passaggio ad aiutarlo a prendere coscienza di sé ed eventualmente a suggerirgli un percorso personale. Coraggio! La svolta può essere dietro l’angolo.
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IL FILM: STAND BY ME

18/2/2011

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La preadolescenza alla ricerca della prima avventura, l’amicizia, la costruzione della propria identità: sono gli ingredienti di Stand by me – Ricordo di un’estate (Reiner, 1986)

La storia si svolge a Castle Rock, piccola cittadina immaginaria nell'Oregon, durante l'estate del 1959. Il narratore è Gordie Lachance, che, da adulto, racconta le sue avventure di dodicenne dal carattere introverso e insicuro. C’è poi l'occhialuto Teddy Duchamp, "matto a quattr'occhi" con un padre menomato, Vern Tessio, preso sempre in giro da tutti perché è sbadato e sovrappeso, e il saggio Chris Chambers, leader e paciere del gruppo, ma schiacciato dalla brutta fama della sua famiglia. Partono impauritI alla ricerca di un cadavere e il viaggio, dentro e fuori di loro, li accompagnerà attraverso le loro paure, il loro desiderio di riscatto, la loro amicizia acerba ma sincera, l’unione che fa la forza.

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MIO FIGLIO MI TRATTA MALE

18/2/2011

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MASCHIETTI CHE TRATTANO MALE LE MAMME. 
STRONCARLI? PUNIRLI? O EDUCARLI? VEDIAMO.


"Caro Marco, sono la mamma di un bambino di 6 anni che mi dice un sacco di parolacce – ci scrive preoccupata Luciana. A scuola, con gli altri, è sempre buo- no, rispettoso, disponibile, ma con me dice cose pesanti. Sono preoccupata che anche la sua sorellina di un anno impari a comportarsi così. Con l’altra –
che ne ha 11 – non ho mai avuto questo problema.» 

Beh, cara Luciana, di motivi per essere un po’ arrabbiato direi che ne ha un bel po’. Proviamo a fare delle ipotesi in modo da poterti aiutare, ma anche di aiutare lui perché – non dimentichiamolo – un bambino che tratta male la mamma si sentirà poi terribilmente in colpa. Il senso di colpa lo renderà ancora più arrabbiato, e si attiverà un circuito rabbia-senso di colpa per nulla piacevole.

«Sono stato per ben 5 anni il “piccolo” di casa – potrebbe essere la sua versione dei fatti – , e questo posto non me lo toglieva nessuno. È vero, la sorella grande un po’ mammina e saputella come tutte le sorelle maggiori, ma io ero un maschietto e quindi il preferito di mamma. Poi mi arriva un’altra femmina e mi crolla il mondo addosso.»

È evidente, la prima resterà sempre la prima, la più grande, magari la più responsabile, la nuova nata con il suo bisogno di cura calamiterà l’attenzione della mamma, e lui che posto ha? «Non sono il più grande, non sono più il piccolino, non posso essere utile come mia sorella, che faccio adesso?». Naturale! Se la prende con la mamma!

E ciò potrebbe essere rinforzato da un altro fattore: «E il mio essere maschietto? Dove lo mettiamo? Ok, non sono come le mie sorelle, non sono nemmeno come la mamma». 

Ed ecco allora che deve trovare un modo, magari non proprio carino, per differenziarsi, per distaccarsi, per creare una frattura, per esaltare il proprio “io”, il proprio essere differente.
Che fare allora? Primo non spaventarti perché non serve a nulla. Avere di fronte una mamma che riesce a tenere di fronte a queste bordate gli farà sicuramente bene, perché gli toglierà quel senso di onnipotenza e lo rassicurerà.

Poi, visto che rischia di crearsi un’identità negativa per opposizione, il papà ha un ruolo importante nel proporgli un modo maschile, sano, amorevole di comportarsi con te. E quando lo richiama, invece di dirgli «Non si tratta così la mamma», provi a dirgli, «Porta rispetto a mia moglie!». Senti che differenza? Da una imperativo generico negativo ad una prescrizione personale positiva. Dal trattarlo da piccolo cucciolo a considerarlo un ometto responsabile. Dal considerarlo figlio della mamma a considerarlo figlio di una coppia.

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SEGRETI O BUGIE

18/2/2011

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Ciao Marco, ho 19 anni e le storie da queste parti sono soprattutto avventure di sesso. Io ne ho avute un po’ ma poi mi sono sempre sentito insoddisfatto. Ho cercato a lungo una ragazza (e adesso mi pare di averla trovata) con la quale si potesse anche un po’ ragionare. Le ragazze della mia età mi sembrano tutte un poco frivole. Non hanno contenuti, si va al pub, si beve, si va in discoteca, non si parla. Mi sento un po’ un pesce fuor d’acqua e forse non so nemmeno io bene cosa voglio.
La domanda comunque era un’altra, forse un po’ banale: secondo te dal punto di vista morale è più grave una bugia o una cosa non detta, taciuta?
Spero di essere stato chiaro. 
Massimo - Verona


Sei stato chiarissimo Massimo, e anche simpatico. Penso che molte ragazze che hanno letto la tua lettera staranno pensando che non è vero, che sono i ragazzi quelli che “vogliono una cosa sola”.
Ai giovani con i quali parlo che mi fanno questi ragionamenti io di solito chiedo: «Ma voi dove li cercate i            fidanzati? Le fidanzate? Al circolo parrocchiale? In biblioteca? In un’associazione di volontariato? No, perché, se il vostro territorio “di caccia” si limita al pub, alla discoteca, in orari solo dopo la mezzanotte, magari un po’ alticci... beh, non lamentatevi se il livello è un pò bassino...E attenzione! Io non ho proprio nulla contro le discoteche e i pub, sono luoghi divertentissimi... basta usarli con moderazione, e non come habitat naturale.

Comunque, venendo alla tua domanda: è peggio una bugia o un’omissione? Devo dire che non è per niente banale, non me lo ero mai chiesto.
Pensandoci un po’ direi così: la bugia è un errore oggettivo, un peccato dal punto di vista morale, una mancanza di rispetto dal punto di vista relazionale. L'omissione di verità invece è proporzionale all'importanza della cosa omessa ai fini della relazione. Cioè, per fare un esempio, per gradi. Se tu ometti di dire alla tua fidanzata che a 6 anni hai avuto una carie, mi pare che non sia molto grave. Se ometti di dirle che hai fatto una sbronza a 14, beh, questo, per conoscerti, forse potrebbe interessarle. Se ometti di dirle che hai avuto una storia con una sua amica – sempre se non lo sa già – direi che non può essere considerato un dettaglio trascurabile. Se ometti di dirle che mentre ti vedi con lei esci anche con un’altra... questa è pari pari una bugia.

Spero di essere stato chiaro, ma spero soprattutto che tu cerchi sempre più nella vita di essere coerente e uguale a te stesso. Che una ragazza riesca a trovare in te la profondità, la sincerità, la progettualità che tu cerchi in lei.

Che intraprendi con coraggio e determinazione una via di verità che – vedrai – ti renderà libero e felice.


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IL FILM: IL RE LEONE

18/2/2011

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HACUNA MATATA?

È ormai un classico dell’animazione Il re leone, film della Disney del 1994. Cartone molto
bello da vedere in famiglia, bellissimo per i piccoli, intrigante per i più grandicelli, ricco di spunti anche per gli adulti. Anche Simba, il protagonista, come molti figli di oggi non è contento di quello che ha e vuole sempre di più. Attratto a trasgredire dal losco zio Scar. In realtà è schiacciato tra la sua voglia di novità e leggerezza e le pesanti responsabilità che gli arrivano dall’essere figlio ed erede al trono del grande e saggio Mufasa. La parentesi nell’oasi felice con Pumba e Timon, due spensierati animaletti con la filosofia del no-problem (il celebre motto Hacuna Matata in lingua swahili), dovrà essere superata dalla presa di coscienza della propria missione nella vita. Una missione di responsabilità cosciente, di coraggio, e di pienezza di vita.

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    AUTORE

    Marco Scarmagnani
    giornalista e
    consulente familiare

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    che scrivo su Sempre
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    per altre riviste.
     


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